Jean-Claude Trichet
La Repubblica 9/10/14
Secondo l’ex presidente della Bce,
Matteo Renzi fa bene a cambiare l’articolo 18. “Il bilancio
statale è migliorato: oggi potete vantare un avanzo primario. Il
vostro problema, da troppo tempo, è la stagna- zione economica.
Eppure quando vado nel vostro Paese, soprattutto in Lombardia, vedo
sottotraccia un formidabile dinamismo produttivo. Avete un potenziale
che aspetta solo di potersi esprimere”. Per Trichet le ultime
decisioni di Draghi sono state eccellenti, ma la Banca centrale non
può fare tutto, né può sostituirsi ai governi: “Spetta agli
esecutivi nazionali portare avanti le riforme strutturali senza
perdere tempo. La Francia, ad esempio, ha una spesa pubblica pari al
56,5 per cento del Pil. Una riduzione è necessaria e possibile. E
non parlerei di austerità, piuttosto di saggezza. Dobbiamo
proteggere gli interessi dei nostri figli e nipotini”
«Matteo Renzi deve accelerare
sulla riforma del mercato del lavoro». L'incitamento di Jean-Claude
Trichet al premier italiano non sorprende. Fu lui a chiedere al
nostro governo di modernizzare regole sindacali e contrattuali
nell'ormai famosa lettera mandata a Roma in quanto presidente della
Bce. Era l'estate 2011, a Palazzo Chigi c'era Silvio Berlusconi,
l'Italia rischiava il default. Tre governi dopo, Trichet è
ottimista. «Sono stati fatti passi avanti, ma bisogna continuare
sulla strada delle riforme», osserva a margine di un dibattito sul
futuro dell'eurozona insieme ad altri esperti, tra cui l'economista
Jean-Paul Fitoussi, nell'ambito del New World Forum. «L'unione
monetaria non rischia più una crisi esistenziale», spiega a
Repubblica l'ex governatore della Banque de France, tra il 1993 e il
2003, e timoniere della Bce per otto anni, prima di lasciare la
presidenza a Mario Draghi nel novembre 2011. Trichet era
all'Euro-Tower di Francoforte quando iniziò il tracollo dei subprime
negli Usa, poi trasformato in crisi dei debiti sovrani in Europa.
Ancora oggi la Bce è in trincea. «Ma la banca centrale – avverte
- non può sostituirsi ai governi».
E' giusto chiedere più flessibilità
sulle regole europee, come fanno Italia e Francia?
«Mi pare che il lassismo finanziario
introdotto negli anni 2003 e 2004 ci sia già costato molto. Abbiamo
pagato tutti: italiani, greci, spagnoli, ma anche francesi. Siamo
stati costretti a proteggerci e ad aiutare gli altri. Bisogna
assolutamente continuare far ordine nei nostri conti per mantenere
una credibilità davanti ai mercati finanziari. Intanto, dobbiamo
concentrarci sulle riforme strutturali per favorire una ripresa
dell'occupazione ».
Il nostro Paese è fuori pericolo?
«L'Italia ha subìto nel 2011
un'enorme sfiducia da parte degli investitori. E' un passato recente,
non così lontano. I dirigenti italiani devono esserne consapevoli e
non fare come se si trattasse di una minaccia immaginaria».
Perché decise di inviare la famosa
lettera al governo Berlusconi, firmata insieme al suo successore,
Draghi?
«Mi ricordo bene di quella lettera.
Decidemmo di scrivere al primo ministro italiano per chiedere, tra
l'altro, le indispensabili riforme strutturali. Bisogna ricordare la
gravità della situazione. L'ipotesi di vedere gli investitori
mondiali voltare le spalle all'Italia era un rischio reale in quel
momento».
Da allora cos'è cambiato?
«Sono stati compiuti sforzi importanti
sul piano dei conti pubblici. Il bilancio dello Stato italiano è
migliorato rispetto ad allora, e può vantare un avanzo primario. Il
problema dell'Italia oggi è un altro».
Quale?
«Da troppo tempo si verifica una
stagnazione economica. Una congiuntura dovuta al debole progresso
della produttività del lavoro che frena la crescita. Eppure quando
vado in Italia, soprattutto in Lombardia, vedo sottotraccia un
formidabile dinamismo dell'economia italiana».
Le raccomandazioni della sua lettera
sono state seguite più sui conti pubblici che sulle riforme?
«Avete un potenziale di crescita che
aspetta solo di potersi esprimere. Il primo ministro fa bene ad
accelerare sulla riforma del mercato del lavoro: potrebbe finalmente
incoraggiare lo sviluppo delle imprese e dell'occupazione ».
Il governo francese non rispetterà i
limiti sul deficit. Parigi guida la rivolta contro l'austerità?
«La Francia ha una spesa pubblica pari
al 56,5% del Pil. Una strategia di riduzione mi sembra possibile e
necessaria. Non parlerei di austerità, piuttosto di saggezza.
L'obiettivo è proteggere gli interessi dei nostri figli e nipotini.
Si tratta di buon senso».
La Francia è il nuovo malato d'Europa?
«Durante i miei primi anni da
presidente della Bce, ho sentito spesso parlare della Germania come
“malato d'Europa”. Diffido da formule semplicistiche. In Francia,
sia a destra che a sinistra, c'è la consapevolezza di dover fare
degli sforzi sui conti pubblici e sulle riforme strutturali. Ora
bisogna dimostrare atti concreti».
Anche il modello tedesco è in panne?
«Negli ultimi anni, la crescita
tedesca si è basata soprattutto sulle esportazioni. Il funzionamento
naturale dell’economia di mercato dovrebbe ora riattivare la
domanda interna, sia sui consumi che sugli aumenti salariali e degli
investimenti».
L'Europa uscirà un giorno dalla crisi?
«Ci sono situazioni molto diverse. La
Grecia non è la Spagna. La Spagna non è l'Italia. L'Italia non è
la Francia. E la Francia non è la Germania. Nessuno è uguale in
un'unione monetaria composta da diciotto Paesi. La governance
dell'Europa consiste nel dare raccomandazioni mirate a ogni Stato
membro».
La Bce può scongiurare il rischio
deflazione?
«Nonostante l'attuale debolezza dei
prezzi, non credo che il rischio deflazione si confermerà a medio
termine. La Bce è stata estremamente attiva e le ultime decisioni
del consiglio dei Governatori sotto la presidenza di Mario Draghi
sono state eccellenti».
Fin dove può arrivare l'intervento di
Draghi?
«La Bce non può fare tutto. Inoltre,
non può sostituirsi ai governi. Sono gli esecutivi nazionali che
devono portare avanti le riforme strutturali senza perdere tempo. Non
vorrei che alcuni governi pensassero che l'azione della Bce permette
di rimandare quel che è loro dovere realizzare subito. Su questo
punto la Bce è stata sempre chiara. E sono convinto che continuerà
ad esserlo».
C'è il rischio di una ricaduta
dell'eurozona come 4 anni fa?
«Tra il 2010 e il 2011 abbiamo avuto
cinque Paesi sfiduciati dai mercati finanziari. Questi governi
avevano un disavanzo primario consolidato che andava dal - 8 al - 9%.
Oggi questi cinque Paesi hanno tutti un leggero avanzo primario. La
situazione è cambiata. Sono stati fatti molti aggiustamenti. Il
pericolo non è più una crisi esistenziale dell'eurozona, ma la
creazione di posti di lavoro e il sostegno della crescita sul medio,
lungo termine. E' questa la vera priorità».
Nessun commento:
Posta un commento