Corriere della Sera 18/10/14
corriere.it
Un’imprudenza. Tale è stata
considerata la pubblicazione della relazione seguita alla prima
settimana di Sinodo: quella che conteneva le aperture a divorziati
risposati e omosessuali. Quando ha visto i testi su Osservatore
romano e Avvenire, il Papa ha espresso subito la sua preoccupazione
per l’impatto che avrebbero avuto. Timore fondato. L’impressione
trasmessa a vescovi e cardinali è stata che non si trattasse di un
documento da studiare e discutere, ma di un’anticipazione
dell’esito dell’assemblea. Il «Sinodo di carta» ha finito così
per allungare un’ipoteca sul «Sinodo reale», dandone un’immagine
distorta. E sono scattate le reazioni. L’idea che la riunione
straordinaria voluta da Jorge Mario Bergoglio potesse concludersi con
un referendum tra «innovatori» e «conservatori», e con la
vittoria dei primi, si è rivelata velleitaria e fuorviante.
Le
resistenze affiorate in sette delle dieci commissioni (i cosiddetti
«Circoli minori») contro le tesi aperturiste propugnate dal
cardinale tedesco Walter Kasper, sono state un segnale esplicito.
Hanno confermato quanto sia complessa e diversificata la realtà
della Chiesa in materia di famiglia; e come i tentativi di piegarne
gli indirizzi debbano fare i conti con episcopati refrattari a salti
e a dosi di novità troppo massicce. Si è rivelata riduttiva e
dunque inadeguata la stessa divisione tra «vecchio» e «nuovo». Il
tentativo del cardinale Lorenzo Baldisseri, scelto da Francesco come
segretario del Sinodo, di evitare che le relazioni dei «Circoli»
fossero rese pubbliche, ha fatto emergere per paradosso ancora di più
i malumori.
Malumori trasversali anche geograficamente. Di
fronte ad un Pontefice silenzioso, come da prassi, è stato il suo
«ministro dell’Economia», l’australiano George Pell, un solido
conservatore, il capofila di chi ha ottenuto una scelta di
«chiarezza». E dietro di lui si sono schierati apertamente il
sudafricano Wilfrid Fox Napier, arcivescovo di Durban; l’americano
Raymond Burke, i patriarchi siriano Gregorio III Laham e di
Gerusalemme, Fouad Twal, il francese Andrè Vingt-Trois, arcivescovo
di Parinìgi, l’italiano Rino Fisichella, il britannico Vincent
Nichols, arcivescovo di Westminster. E il relatore del Sinodo, il
cardinale Péter Erdö, primate d’Ungheria. Alla fine, per
sbloccare la situazione è dovuto intervenire il segretario di Stato
vaticano, Piero Parolin, attento a mediare e a spiegare che le
sintesi delle relazioni dei «Circoli» andavano pubblicate.
Il
suo intervento ha stemperato la tensione che si era accumulata. Solo
in parte, però. A questo punto, il problema non è archiviato. Anzi,
sembra destinato a proiettarsi sui prossimi mesi, che precederanno il
Sinodo vero e proprio. E rischia di alimentare la fronda nei
confronti di un Pontefice determinato ad incidere a fondo nella
mentalità e nel modo di agire della Chiesa. Il fatto che Kasper
abbia presentato le sue proposte come se provenissero direttamente da
Francesco ha finito per sovraesporre Bergoglio.
E permette agli
avversari di sostenere strumentalmente che la battuta d’arresto
registratasi nel Sinodo sarebbe anche una sconfitta papale: come se
la sconfessione della «linea Kasper» potesse essere ritenuta un
atto di sfiducia verso Francesco, messo simbolicamente in minoranza.
È una forzatura inverosimile, ma è l’interpretazione che
l’episcopato ostile alle riforme del Papa tenta di accreditare. In
realtà, la decisione di rendere il dibattito trasparente riflette la
sua volontà e il suo approccio.
E la discussione animata, a
tratti aspra, sembra la traduzione di quella volontà di scuotere la
Chiesa cattolica e sottrarla all’autoreferenzialità, tipica del
Pontefice argentino. Il problema è che il dibattito ha preso una
piega imprevista e probabilmente non voluta. Il metodo col quale si
sono susseguiti gli interventi si è rivelato difficilmente
governabile. E la strategia comunicativa si è dimostrata non esente
da pecche. A tratti ha prevalso una sensazione di confusione. I
riflettori accesi ossessivamente sui divorziati o sulle unioni civili
hanno finito per schiacciare l’attenzione solo su quei temi; e
riprodotto una visione molto eurocentrica dell’universo familiare,
mettendo in ombra altre questioni sentite acutamente in Africa, Asia
o negli Stati Uniti.
L’irritazione per come si sono svolti i
lavori non è stata solo di cardinali freddi verso Francesco come
Burke. Lo stesso arcivescovo di New York, Timothy Dolan, uno dei
grandi elettori di Bergoglio in Conclave, non avrebbe gradito le
proposte di Kasper né il modo in cui sono state presentate. Il
motivo è che da domani i prelati presenti dovranno tornare nelle
loro diocesi; e spiegare ai fedeli quanto è accaduto realmente, e
perché. Per un episcopato come quello statunitense, impegnato per
anni ad affermare la difesa dei «valori non negoziabili»,
l’impostazione che è parsa prevalere prima che spuntassero i
critici, crea qualche imbarazzo: un disagio che serpeggia anche tra
alcuni italiani e polacchi. Il rischio è che si accentui la vulgata
di un Papa riformatore e di una Chiesa resistente; e dunque di un
Pontificato che non riesce a «convertire» i propri vescovi.
Il
risultato sarebbe quello di far passare la tesi che in realtà nulla
stia davvero cambiando; e di deludere sia chi si aspettava novità
nette, sia chi difende rocciosamente la dottrina. La previsione degli
uomini più vicini al Papa è che alla fine si registrerà un
consenso quasi unanime nei confronti di Bergoglio; e che si capirà
meglio quanto dietro le discussioni ci sia la sua regia, con la
scelta di lasciare parlare tutti liberamente e avere un quadro il più
possibile fedele delle correnti di pensiero e degli umori. Certo, non
si può dire che si sia trattato di un Sinodo banale o scontato. Si è
rivelato davvero «straordinario» al di là di ogni previsione. Ma
la sensazione è che sia anche sfuggito un po’ di mano,
evidenziando i problemi di governo del Vaticano e la difficoltà di
Francesco a trovare sempre le persone giuste.
Il Sinodo è stato
la prima «vetrina» collettiva del secondo anno di Papato: quella
dove è stata esposta e misurata la profondità delle riforme di
Bergoglio. Il risultato potrebbe definirsi un altro dei «poliedri»
cari al Pontefice: figure geometriche diseguali, nelle quali le
diversità si saldano in una unità superiore, e anzi contribuiscono
a crearla. Le diversità nel Sinodo sono chiare, l’unità sta
ancora prendendo forma. Francesco è un Papa che dimostra grande
abilità nel cambiare i paradigmi del potere vaticano, gode di
immensa popolarità; e insieme mostra qualche limite sul piano del
governo. Forse perché viene da un’America latina dove «la Chiesa
è in un certo senso imprecisa, costruisce se stessa nell’esperienza,
non si vede solo custode della tradizione», sottolinea un gesuita.
Già adesso, sotto voce, affiorano critiche per il «modello Buenos
Aires» che ha portato a Roma: una miscela di religiosità popolare e
insofferenza per i riti della corte pontificia.
Non solo. Il
mandato ricevuto dal Conclave è quello di disarticolare le strutture
vaticane che hanno contribuito di più, nell’ottica degli
episcopati mondiali, a rovinare l’immagine della Chiesa. Ma nel
Sinodo è affiorata una critica più sottile, sussurrata da tempo:
quella di consentire ad un’ala del cattolicesimo un’interpretazione
troppo «liberale» della dottrina. È stato il timore di allargare
falle dottrinali a provocare la sollevazione contro le aperture a
divorziati risposati e omosessuali. Sono temi che l’Occidente
concentrato sui diritti individuali sente molto; altri episcopati
molto meno, presi come sono da sfide più drammatiche. Bergoglio sa
di dover conciliare questi valori con l’eredità europea ed
italiana. Ma ha bisogno di tempo e teme di non averne abbastanza per
non lasciare le cose a metà.
Nessun commento:
Posta un commento