Corriere della Sera 11/10/14
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Piero Fassino, lei da segretario portò
i Ds a sciogliersi nel Pd. Ora il partito è diviso, alla vigilia di
una resa dei conti, forse di una scissione. Lei che ne pensa?
«Che
dobbiamo ripensare le forme della democrazia politica. Noi siamo
cresciuti in una Repubblica parlamentare, con un governo subordinato
al Parlamento, e i partiti a organizzare la rappresentanza. Tutto
questo si sta consumando rapidamente. Oggi partiti, sindacati,
associazioni di categoria sono tutti in crisi. Lo dico con dolore: ma
se il Parlamento restasse chiuso sei mesi, potrebbe perfino capitare
che nessuno se ne accorga».
Il timore è che resti soltanto il
partito del leader, anzi del capo.
«È un timore che non si supera
rifugiandosi nella nostalgia di quel che c’era prima. Di nostalgia
non si vive, si muore».
Quindi avete sbagliato tutto?
«No,
assolutamente. Io sono ben lieto di essermi formato in una grande
partito che era anche una grande comunità di vita. Ma quel partito
era figlio del ‘900 e del fordismo, che non era solo un modo di
organizzare la produzione ma di organizzare la società; era fordista
anche il Pci. Del resto, non c’è un secolo che abbia avuto la
stessa forma di rappresentanza del secolo precedente. Il ‘900 ha
conosciuto il suffragio universale, l’800 il voto di censo, il ‘700
l’ascesa delle borghesie nazionali, il ‘600 l’apice
dell’assolutismo. Oggi noi dobbiamo ripensare la democrazia. Creare
nuove forme di presenza sul territorio e di coinvolgimento attivo dei
cittadini. Puntare su forme di democrazia diretta come le primarie.
Trasformare la rete e il web da strumento di stalking politico a
strumento di partecipazione».
Il nuovo sistema della
rappresentanza prevede l’espulsione dei dissidenti?
Renzi ci sta
pensando.
«In un partito ognuno deve avere il diritto di dire la
propria opinione e di farla valere in tutte le sedi. Poi, una volta
presa una decisione comune, si applica il principio democratico di
maggioranza. Un parlamentare che dissenta può dire con chiarezza:
“Io voto per rispetto della maggioranza, pur non essendo
d’accordo”. Questa è la forma più pulita».
È possibile
una scissione nel Pd?
«Se qualcuno ci pensa, pensa a una velleità.
L’ultima cosa che avrebbe oggi mercato e appeal è un nuovo
partito. Le scissioni avvenivano quando i partiti avevano strutture
forti. Ora nessuna scissione avrebbe successo. Cercare di riprodurre
quello che c’era è privo di senso».
Perché lei dice che se
il Parlamento chiudesse nessuno ne chiederebbe la riapertura?
«È
un paradosso naturalmente. Ma una verità c’è: Il Parlamento ha
perso la sua centralità perché la decisione politica è cambiata
nelle due variabili dello spazio e del tempo. Nel mondo globale e
dell’Europa integrata, sono sempre di più le decisioni che non
vengono prese nei singoli Stati: questo ha indebolito le istituzioni
nazionali. E nel tempo reale, in cui tutto quel che accade è subito
noto sul telefonino o sul web, il tempo differito della decisione
politica è troppo lento. Anche la legge più giusta sembra arrivare
sempre troppo tardi. Ha fatto bene Renzi ad affrontare il nodo del
bicameralismo, che poi significava almeno tre passaggi per ogni
legge. Avere una sola Camera che legifera significa ridurre i tempi a
un terzo e avere leggi tempestive».
Rispetto agli altri leader
della sua generazione, da D’Alema a Bersani, lei ha scelto di
aprire a Renzi. Perché?
«Perché guardo al futuro di questo
Paese. È inutile avere nostalgia di una cosa che non potrà più
essere come prima. Viviamo l’epoca in cui un movimento arriva al
25% dei voti senza una sezione, senza una tessera, senza un
segretario. Vogliamo discuterne e capire perché?».
Renzi dura,
secondo lei?
«Sì. Ha consenso e continuerà ad averlo per un
tempo non breve, perché intercetta una domanda di cambiamento
radicale. Non a caso in tutti i sondaggi la maggioranza dei
cittadini, dei lavoratori dipendenti, degli elettori Pd è favorevole
alla riforma dell’articolo 18».
Cosa pensa del patto del
Nazareno?
«Che le regole si scrivono insieme, altrimenti è la
fine della democrazia. Poi nella gestione di governo c’è una
maggioranza e un’opposizione».
Il patto non nasconde
altro?
«Io sto a quel che viene detto».
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