VITO MANCUSO
La Repubblica 6/10/14
La posta in gioco del Sinodo è molto
grande: riguarda la Chiesa in se stessa, in quanto verificherà
l’effettiva leadership di cui gode papa Francesco presso i vescovi
e i cardinali, e riguarda ancor più la capacità del cattolicesimo
di tornare a parlare alla coscienza contemporanea.
PER quanto concerne il primo aspetto
occorre considerare che questo pontificato, a un anno e mezzo dal suo
inizio, si trova per la prima volta di fronte a una prova decisiva:
quella di vedere o no confermato dall’assise sinodale lo stile
completamente nuovo da esso impresso all’azione della Chiesa, e
quindi inevitabilmente anche alla sua identità. Con papa Francesco
infatti si è passati da un papato dal profilo sostanzialmente
dottrinario (secondo cui il papa è colui che spiega, insegna,
corregge, e così governa) a un papato dal profilo esistenziale e
spirituale (il papa è colui che capisce, condivide, soffre e gioisce
con, e così governa), ma non è per nulla chiaro se questa
trasformazione radicale sia apprezzata e voluta dai vescovi e dai
cardinali. Al di là della retorica delle dichiarazioni ufficiali,
quanti di essi sono disposti a seguire fino in fondo Francesco
passando da una Chiesa in cattedra a una Chiesa “ospedale da
campo”, a lasciare i privilegi del potere e a prendere “lo stesso
odore delle pecore”? Se si dovesse tenere oggi il Conclave, quanti
cardinali elettori rivoterebbero Bergoglio?
Che vi sia una dura opposizione al
rinnovamento papale da parte dell’ala intransigente della Chiesa
cattolica è sotto gli occhi di tutti: ne fanno parte cardinali
importanti tra cui il Prefetto della Congregazione per la Dottrina
della Fede Gerhard Müller, vescovi, teologi, responsabili di
movimenti ecclesiali, opinionisti come il vaticanista dell’
Espresso Sandro Magister, l’ateo devoto Giuliano Ferrara, il
saggista Antonio Socci che è giunto a mettere in dubbio la
legittimità dell’elezione di Bergoglio. Si tratta di posizioni
isolate oppure della punta di un grosso iceberg che costringerà la
caravella papale a una mutazione di rotta? Probabilmente dopo questo
Sinodo si avranno le idee più chiare su quanto pesano tra le
gerarchie cattoliche gli oppositori di papa Francesco.
C’è però un aspetto ancora più
importante in gioco nel Sinodo. In esso infatti non ne va solo del
destino di un singolo papato, ma del cattolicesimo in quanto tale
nella sua capacità di comunicare con profitto alla coscienza
contemporanea secondo quel processo di rinnovamento iniziato da papa
Giovanni XXIII con il Vaticano II (1962-1965) e purtroppo rimasto
incompiuto. Il Vaticano II rinnovò l’autocomprensione della Chiesa
in ambiti importanti come la libertà di coscienza, l’ecumenismo,
il dialogo interreligioso, la liturgia, la morale sociale, in genere
il rapporto della Chiesa con la storia e la cultura. Non riuscì però
a estendere tale rinnovamento anche all’ambito della morale
individuale e familiare perché Paolo VI (subentrato nel 1963 a
Giovanni XXIII) sottrasse all’assise conciliare la possibilità di
dibattere sulle questioni sessuali avocando a sé l’intera materia
e pubblicando nel 1968, a tre anni dalla chiusura del Concilio, la
famigerata enciclica Humanae vitae . Con essa, sia nel contenuto sia
nel metodo, la Chiesa ritornò al preconcilio.
Ne è sorta una Chiesa a due velocità:
perfettamente in grado di coinvolgere la parte migliore della
coscienza contemporanea quando si tratta di questioni sociali ed
economiche, del tutto destinata all’isolamento quando si tratta di
questioni sessuali e bioetiche. A questo proposito nella sua ultima
intervista il cardinal Martini affermò: “Dobbiamo chiederci se le
gente ascolta ancora i consigli della Chiesa in materia sessuale: la
Chiesa in questo campo è ancora un’autorità di riferimento o solo
una caricatura nei media?” ( Corriere della Sera, 1 settembre
2012), domanda a cui Martini aveva risposto con le dure critiche all’
Humanae vitae nel suo libro Conversazioni notturne a Gerusalemme .
I padri sinodali sono chiamati a
prendere atto del fatto che la morale ufficiale della Chiesa
cattolica in ambito sessuale e familiare è ormai una “caricatura”,
lo è anche per la gran parte dei cattolici praticanti (come ha
mostrato il sondaggio pre Sinodo voluto dal Papa). Si può ancora
continuare a sostenerla per amore di tradizione, ma si deve essere
consapevoli che ciò significa collocarsi fuori dal mondo, e quindi
rendersi incapaci di esercitare l’azione fecondatrice di cui il
mondo ha tanto bisogno. Tale estraneità al mondo infatti non è
certo riconducibile alla posizione profetica di chi si pone fuori dal
mondo per capirlo meglio e operare su di esso con più efficace
misericordia; coincide piuttosto con ciò che veicola il senso
ordinario dell’espressione: essere fuori dal mondo = non capire
nulla della realtà. Chi oggi sostiene ancora il no ai sacramenti per
i divorziati risposati, il no alla contraccezione, il no ai rapporti
prematrimoniali, il no alla benedizione delle coppie gay, è fuori
dal mondo nel senso che non ne capisce l’evoluzione. E con ciò si
priva della possibilità dell’azione peculiare che il Vangelo
chiede a chi vi aderisce, cioè l’amore.
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