“Madre, non piangere accuserò i
giudici al tribunale di Dio e ora dona i miei occhi”
L’ultima lettera, pubblicata su
Huffington Post, che Reyahneh Jabbari, impiccata a 26 anni per aver
ucciso il suo stupratore, ha scritto a sua madre Sholeh.
Cara madre,
oggi ho appreso che ora è
il mio turno di affrontare la Qisas ( la legge del taglione del
regime iraniano, ndr). Mi ferisce che tu stessa non mi abbia fatto
sapere che ero arrivata all’ultima pagina del libro della mia vita.
Non credi avrei dovuto saperlo? Perché non mi hai dato la
possibilità di baciare la tua mano e quella di papà?
Il mondo mi ha concesso di vivere per
19 anni. Quella orribile notte io avrei dovuto essere uccisa. Il mio
corpo sarebbe stato gettato in qualche angolo della città e dopo
qualche giorno la polizia ti avrebbe portato all’obitorio per
identificare il mio corpo e là avresti saputo che ero anche stata
stuprata. L’assassino non sarebbe mai stato trovato, dato che noi
non siamo ricchi e potenti come lui. Poi tu avresti continuato la tua
vita soffrendo e vergognandoti e qualche anno dopo saresti morta per
questa sofferenza e sarebbe andata così.
Ma con quel maledetto colpo la storia è
cambiata. Il mio corpo non è stato gettato da qualche parte ma nella
tomba della prigione di Evin e della sua sezione di isolamento. E ora
nella prigione-tomba di Shahr-e Ray. Ma arrenditi al destino e non
lamentarti. Tu sai bene che la morte non è la fine della vita. Tu mi
hai insegnato che si arriva in questo mondo per fare esperienza e
imparare la lezione e che a ognuno che nasce viene messa una
responsabilità sulle spalle. Ho imparato che a volte bisogna
lottare.
Tu ci hai insegnato, quando andavamo a
scuola, che si deve essere una signora di fronte alle discussioni e
alle lamentele. Ti ricordi quanto notavi il modo in cui ci
comportavamo? La tua esperienza era sbagliata. Essere presentabile in
tribunale mi ha fatto apparire come un’assassina a sangue freddo.
Non ho versato lacrime. Non ho implorato. Non mi sono disperata,
perché avevo fiducia nella legge. Ma sono stata accusata di rimanere
indifferente di fronte ad un crimine. Lo sai, non uccidevo neanche le
zanzare e gettavo via gli scarafaggi prendendoli dalle antenne e ora
sono diventata un’assassina volontaria. Il modo in cui trattavo gli
animali è stato interpretato come un comportamento mascolino e il
giudice non si è neanche preoccupato di tenere in considerazione il
fatto che all’epoca dell’incidente avevo le unghie lunghe e
laccate. Quant’è ottimista colui che si aspetta giustizia dai
giudici! Il giudice non ha mai contestato il fatto che le mie mani
non sono ruvide come quelle di uno sportivo, specialmente un pugile.
E questo paese per il quale tu hai piantato l’amore in me, non mi
ha mai voluto e nessuno mi ha sostenuto quando sotto i colpi degli
inquirenti gridavo e sentivo i termini più volgari. Quando ho
perduto il mio ultimo segno di bellezza, rasandomi i capelli, sono
stata ricompensata: 11 giorni in isolamento.
Cara mamma, non piangere per ciò che
stai sentendo. Il primo giorno in cui alla stazione di polizia una
vecchia agente zitella mi ha schiaffeggiato per le mie unghie, ho
capito che la bellezza non viene ricercata in quest’epoca. La
bellezza dell’aspetto, la bellezza dei pensieri e dei desideri, una
bella scrittura, la bellezza degli occhi e della visione e persino la
bellezza di una voce dolce.
Le mie parole sono eterne e le affido
tutte a qualcun altro, in modo che quando verrò giustiziata senza la
tua presenza e senza che tu lo sappia, ti vengano consegnate. Ti
lascio molto parole scritte a mano come mia eredità.
Però, prima della mia morte voglio
qualcosa da te, qualcosa che mi devi dare con tutte le tue forze. In
realtà è l’unica cosa che voglio da questo mondo, da questo paese
e da te. So che avrai bisogno di tempo per questo. Ti prego non
piangere e ascolta. Voglio che tu vada in tribunale e dica a tutti la
mia richiesta. Mia dolce madre, l’unica che mi è più cara della
vita, non voglio marcire sottoterra. Non voglio che i miei occhi o il
mio giovane cuore diventino polvere. Prega perché venga disposto
che, non appena sarò stata impiccata il mio cuore, i miei reni, i
miei occhi, le ossa e qualunque altra cosa che possa essere
trapiantata venga presa dal mio corpo e data a qualcuno che ne ha
bisogno, come un dono. Non voglio che il destinatario conosca il mio
nome, compratemi un mazzo di fiori, oppure pregate per me. Te lo dico
dal profondo del mio cuore che non voglio avere una tomba dove tu
andrai a piangere e a soffrire. Non voglio che tu ti vesta di nero
per me. Fai di tutto per dimenticare i miei giorni difficili. Dammi
al vento perché mi porti via.
Il mondo non ci ama. Non ha voluto che
si compisse il mio destino. E ora mi arrendo ad esso ed abbraccio la
morte. Perché di fronte al tribunale di Dio io accuserò gli
ispettori, accuserò il giudice e i giudici della Corte Suprema che
mi hanno picchiato mentre ero sveglia e non hanno smesso di
minacciarmi. Nel tribunale del creatore accuserò tutti coloro che
per ignoranza e con le loro bugie mi hanno fatto del male ed hanno
calpestato i mie diritti e non hanno prestato attenzione al fatto che
a volte ciò che sembra vero è molto diverso dalla realtà.
Cara Sholeh dal cuore tenero,
nell’altro mondo siamo tu ed io gli accusatori e gli altri gli
accusati. Vediamo cosa vuole Dio. Vorrei abbracciarti fino alla
morte. Ti voglio bene.
Reyahneh
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