Ugo Tramballi
Il Sole 24 Ore
15 ottobre 2014
Con una fugace notizia dopo la lunga
serie di servizi sulle inondazioni, l’economia nazionale e il
cicaleccio politico domestico, ieri sera il TG1 ci ha informati che
la bandiera dell’Isis non sventola più sulla collina più alta di
Kòbane. Per giorni e giorni il titolo di tutti i telegiornali era
stato “Kòbane assediata”; anzi no, “sta per cadere”; meglio,
“praticamente caduta”, “ormai arresa”. Stalingrado,
Famagosta, Cartagine. E dopo Kòbane, doveva iniziare l’assedio
all’Europa. Forse le buone notizie non sono sexy come le
catastrofiste.
La città non è
stata liberata. Ma nonostante i turchi (che Dio li perdoni) e il
califfato (che Dio lo maledica), è ancora lì che resiste. I curdi,
fino ad ora gli unici in tutto il Medio Oriente a combattere davvero
sul campo, stanno dimostrando concretamente il loro diritto di essere
una nazione. Oltre a questo, i peshmerga che sono risoluti ma non
così armati, stanno offrendoci un dubbio.
L’Isis è davvero forte sul piano
militare o la sua forza è solo data dalla debolezza e dalle
divisioni degli altri? Probabilmente sarà difficile sradicare il
califfato da alcune aree dell’Iraq e della Siria. Ma non
occorreranno decenni per fermare la sua espansione e impedirgli di
essere una minaccia regionale e globale. Questo obiettivo potrebbe
essere raggiungibile in alcuni mesi, se guardiamo oltre le
semplificazioni dei titoli giornalistici.
Il vero pericolo, forse, non è la
forza del predicatore al Baghdadi ma il resto del mondo arabo, i
turchi e gli iraniani. Quelli insomma che dovrebbero avere tutto
l’interesse a sconfiggere il califfo. Per noi occidentali, almeno,
è così ma le priorità degli altri sono diverse. Secondo la nostra
percezione, l’Isis è il nemico numero uno, il più immediato,
nella scala dei destabilizzatori globali. Per gli altri no: gli altri
continuano ad essere certi che l’Isis sia un problema secondario,
creato artatamente da qualcuno esterno alla regione. E dunque
ignorano l’oggi, già attrezzandosi a cosa succederà domani. Come
dire: vendono la pelle di un orso ancora vivo e vegeto.
In ogni Paese arabo è molto diffusa la
convinzione che l’Isis sia stato creato dagli Stati Uniti. Le
spiegazioni offerte sono varie: per far dimenticare l’occupazione
israeliana della Palestina, per tenere sotto schiaffo gli arabi, per
il classico divide et impera, perché adesso gli americani stanno
diventando alleati degli iraniani e degli sciiti. Anche amici arabi,
esperti di cose internazionali, intellettuali con i quali mi capita
spesso di parlare, la pensano così. E’ una tradizione locale: gli
arabi amano trovare sempre un responsabile al quale attribuire colpe
che sono anche loro. Il paradosso egiziano è una buona spiegazione
di quello che dico: il governo militar-restauratore di al Sisi
continua ad accusare gli Stati Uniti di sostenere i Fratelli
musulmani. Ma non ricorda mai l’aiuto militare e politico che
continua a ricevere dagli americani, e che non si sogna di
respingere.
Così, mentre per noi l’Isis è la
versione contemporanea del Feroce Saladino (Salah ed’Din fu in
realtà un condottiero grande e umano) per gli altri non è così.
Per i turchi viene prima impedire uno Stato curdo e la sopravvivenza
del regime di Bashar Assad. Per qualsiasi fazione irachena la
priorità è il potere della propria fazione. Per l’Arabia Saudita
è impedire che l’Iran torni in qualche modo ad essere un amico
degli Stati Uniti, e combattere ovunque esista il movimento dei
Fratelli musulmani. Stessa priorità condivisa da Emirati ed
egiziani. Per sostenere o per impedire che la Fratellanza abbia un
ruolo primario, Qatar e turchi da una parte, ed Emirati con egiziani
dall’altra, stanno impedendo alla Libia di uscire dal caos. Se il
Paese è in questo stato, la responsabilità non è dei bombardamenti
occidentali di due anni fa ma della devastante interferenza di Qatar,
Turchia, Emirati ed Egitto.
Queste divisioni si sono ripetute
perfino alla conferenza del Cairo per la ricostruzione di Gaza.
Poiché la striscia continua ad essere controllata da Hamas, versione
palestinese della Fratellanza, l’aiuto internazionale non è stato
determinato dalle disperate condizioni della popolazione locale ma
dall’interesse politico: munifici Qatar e turchi, avara l’Arabia
Saudita. Dopo avere avuto aiuti militari e finanziamenti da questi
Paesi che ora dovrebbero combatterlo, e continuando a godere di
questa frantumazione d’interessi, l’Isis sentitamente ringrazia.
Nessun commento:
Posta un commento