Corriere della Sera 02/10/14
corriere.it
«Ma quale scissione, quale partito di
D’Alema... Far cadere il governo? Non ci penso proprio, non mi
interessa. Io resto nel Pd con tutti e due i piedi ben saldi, anzi
tre. Ma non mi vengano a insegnare come si sta in un partito quelli
che hanno fatto parte dei 101». Sono le sei del pomeriggio, Pier
Luigi Bersani riesuma lo spettro del tradimento di Prodi e allude a
un coinvolgimento dei renziani. Ha voglia di sfogarsi, ma anche di
ragionare di lavoro, emergenze economiche e coperture, che per lui
non ci sono.
Approda a Montecitorio e subito smentisce progetti
di rottura: «Io le cose voglio cambiarle da dentro e dove non sono
d’accordo lo dico, ma quando voto non ho bisogno di farmi spiegare
la ditta dai neofiti». Che farà sul Jobs Act? «Si discute, si
presentano gli emendamenti, ma poi si sta con il Pd». Niente strappi
dunque, la notizia (applaudita dai renziani) è che Bersani promette
«lealtà verso il partito e il governo», sperando che il premier
non ponga la fiducia e lasci al gruppo la libertà di presentare
subemendamenti. L’accusa di essere un conservatore non gli va giù
e Bersani, dopo aver spiegato che il riferimento al «metodo Boffo»
riguardava «tutti» e non solo lui, energicamente la ribalta:
«Questi innovatori non vengano a spiegare a me come si fanno le
riforme. Perché io ne ho fatte più di loro. Prima le ho fatte e poi
le ho annunciate». Tono di sfida e umore di uno che si sente tirato
per la giacca, da sinistra: «Mi vengono a dire “o il Pd lo
condizioniamo da dentro o dovremo andare da soli”...».
Ma il
sogno di un nuovo partito non è il suo. Addossa alla destra il peso
della precarietà e difende la Cgil: «Trovo profondamente ingiusto
questo schiaffo ai sindacati». Rimprovera al premier di prendersela
con tutti, dalla minoranza ai magistrati, tranne che con Berlusconi,
che «ha governato dieci anni». Racconta le notti passate a trattare
con Monti e Fornero per difendere il reintegro e dice che Renzi
sull’articolo 18 lo ha impressionato: «Non mi aspettavo di
ritrovarmi in casa ‘sta roba qua. Incredibile. Assurdo presentare
l’abolizione come la palingenesi. E non mi si dica che
l’imprenditore è libero di licenziare perché poi ci pensa lo
Stato. Se un dipendente ti è antipatico te lo tieni, perché dietro
c’è una famiglia». Il Tfr in busta paga? «Andiamoci molto cauti,
quando ci si mangia oggi le risorse di domani». E l’assegno di
disoccupazione? Qui Bersani sostiene che governo e Pd rischiano di
«prendere una facciata», perché i soldi non ci sono: «Non si può
raccontare che lo diamo a tutti come in Danimarca, è una cosa
assurda, che può mandarci contro un muro. Con un miliardo e mezzo
garantiamo l’assegno a 150 mila persone... Scherziamo? Ne
servirebbero cinque o sei». Quindi una frecciatina per Marchionne,
incontrato da Renzi a Detroit: «Le critiche poteva farle sui Paesi
in cui paga le tasse e non sull’Italia. Il premier non glielo ha
detto?».
E quando gli chiedono se amici come Epifani e Stumpo
lo abbiano deluso, l’ex leader difende la libertà di scelta delle
giovani leve, bersaniane e dalemiane: «La minoranza non è
un’organizzazione, è un’area fatta di sensibilità e opinioni.
Non c’è una cupola, che ti obbliga a votare in un modo o in un
altro». Non siete spaccati? «Tutti, chi si è astenuto e chi ha
votato no, abbiamo pensato che si stava compiendo un passo avanti, ma
non sufficiente». Bersani prova a chiudere così la coda polemica
seguita alla direzione, dove la minoranza è arrivata alla resa dei
conti in ordine sparso e alcuni fedelissimi suoi e di D’Alema hanno
fatto un passo verso il carro di Renzi. Un riposizionamento che ha
ingenerato attriti e rancori, anche se i protagonisti smentiscono
voltafaccia e tradimenti. «Il Pd non è una casamatta — si difende
il dalemiano Enzo Amendola — Sto in segreteria, sì. Ma cosa
c’entra? Abbiamo trattato, Renzi ha fatto un’apertura e mi sono
astenuto». Quanto al D’Alema furioso, non commenta: «Chiedetelo a
lui. Questa storia dei vecchi e dei giovani a me non interessa e se
qualcuno ha una questione personale con Renzi, se la veda lui. Io non
faccio politica sui rapporti personali». Per l’articolo 18, tanti
rapporti si sono guastati. Micaela Campana, un tempo tra le «dem»
più bersaniane, è in segreteria con Renzi e si è astenuta. E così
Stumpo: «Chi era bersaniano è rimasto bersaniano», assicura colui
che fu l’uomo-macchina dell’ex segretario. Ma il clima è tale
che Zoggia sente di dover garantire per l’amico: «L’affetto di
Nico per Pier Luigi non è in discussione».
Nessun commento:
Posta un commento