Corriere della Sera 08/10/14
G. G. V.
Il Papa ha chiesto «parresía», la
franchezza evangelica senza timori reverenziali, e i padri sinodali
si regolano di conseguenza. «Clima sereno», garantiscono tutti, ma
senza perifrasi né veli curiali. Oggi è la giornata nella quale al
Sinodo sulla famiglia si discuterà delle «situazioni difficili» o
«imperfette», dai divorziati e risposati cui è negata la comunione
alle coppie di fatto: le quali, ha notato il cardinale teologo di
Vienna Christoph Schönborn, «presentano elementi di santificazione
e di verità» quando nella coppia «si conviva con fedeltà e
amore».
Ma è evidente che questi temi dominano fin dall’inizio
il dibattito. Così, in omaggio alla «parresía», si confrontano
altri teologi di prima grandezza: è il caso dell’arcivescovo Bruno
Forte e del cardinale Gerhard Ludwig Müller, prefetto dell’ex
Sant’Uffizio. Con Forte che ieri è intervenuto per dire che
«l’eucaristia non è il sacramento dei perfetti, ma di coloro che
sono in cammino»; e Müller, già critico contro le aperture del
connazionale Walter Kasper (che però, ha spiegato il cardinale
Reinhard Marx, ha dalla sua parte «la maggioranza dei vescovi
tedeschi»), a sostenere più tardi che il sacramento è sì per i
«pellegrini», specie i più deboli, però «una cosa sono le
debolezze» e un’altra «la condizione stabile di peccato mortale»
di chi convive con una persona che non è il suo coniuge. Francesco
avverte via Twitter: «Chiediamo al Signore la grazia di non
sparlare, di non criticare, di non spettegolare, di volere bene a
tutti». Ma «il dibattito è sano», sorride il cardinale filippino
Luis Antonio Tagle. Padre Antonio Spadaro, direttore della Civiltà
Cattolica, ha scelto nel suo intervento l’immagine del «faro» e
della «fiaccola», spiega: «La Chiesa è lumen, luce, ma questa
luce si può intendere in due modi: il faro che sta fermo, al quale
tutti devono guardare come riferimento, oppure la fiaccola che è in
cammino nella storia, esce e va dove sono gli uomini, come penso
debba essere».
Conservatori e riformisti fanno prevalere l’uno
o l’altra. C’è chi chiede di non presentare la dottrina come «un
elenco di divieti», chi dice che i divorziati e risposati non vanno
giudicati ma si deve dire loro la verità, chi fa notare che la
verità cristiana non è un insieme di regole astratte ma «è
Cristo, una persona», e così via. C’è anche chi parla de lla
necessità di un cammino di preparazione al matrimonio «più severo»
per non «intasare i tribunali» con richieste di annullamento. Al
centro «l’esigenza di cambiamento», la consapevolezza che bisogna
«dialogare col mondo» e «rinnovare il linguaggio» della Chiesa.
Niente «clericalismo», soprattutto: «Se i fedeli vedono pastori
umili che imitano Cristo, allora torneranno ad avvicinarsi». E poi
«ascoltare le coppie». E guardare la realtà. Ad esempio la storia
di Jeannette Touré, della Costa d’Avorio, sposata con Lamin che è
musulmano e partecipa con lei al Sinodo. Cinque figli cattolici,«per
mio marito non c’è problema». Ieri lei raccontava che è tutta
questione di «tolleranza, comunicazione, perdono e tanta, tanta
preghiera».
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