La Stampa 15 ottobre 2014
Tu, il rabdomante della rabbia, per anni hai intercettato l’umore
dei disperati. Poi succede che Genova, la tua città, venga sommersa
dall’alluvione. La notizia ti sorprende a una kermesse romana del tuo
movimento. L’istinto fin qui infallibile dovrebbe indurti a fare la cosa
giusta: tornare subito a casa per metterti a spalare in silenzio,
intestandoti una campagna finalmente positiva. Invece resti al caldo di
Roma a grilleggiare contro tutti, senza accorgerti che sei sempre meno
efficace. Non esalti né spaventi più. Semplicemente annoi. Al quinto
giorno ti degni di farti vedere a Genova. Arrivi in centro con una
scorta arrogante, da mandarino della nuova Casta, e ti becchi la
contestazione di ragazzi che probabilmente ti hanno pure votato
Il distacco tra te e loro è emblematico: quelli fanno e tu parli,
quelli ricostruiscono e tu continui a distruggere. Perché persino lì, in
mezzo al dolore, non trovi di meglio che indicare bersagli contro cui
sfogare il rancore. Agli Angeli del Fango che ti danno del pagliaccio
come a un Mastella qualunque, additi il solito capro espiatorio, la
stampa, accusandola di avere taciuto le vere cause della tragedia. Ma
quando fai l’elenco di quelle cause si scopre che sono le stesse che
ingombrano le prime pagine dei giornali. Sei fuori forma, incoerente,
confuso. Dopo averli umiliati, ti offri ai cronisti per un’intervista in
cambio di duemila euro da versare a un tuo fondo per gli alluvionati.
Tu, di grazia, quanti ne hai messi? Dici ai ragazzi che non hai problemi
a spalare il fango con loro, però poi non lo fai e ti dilegui con la
tua scorta. Hai perso il tocco, Beppe Grillo. Che peccato, sei già
ieri.
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