Il leader del M5S contestato come un vecchio politicante dagli
"angeli del fango", mentre il premier evita la passerella e risponde con
i fatti. Tra i due la partita è chiusa.
Mi si nota di più se ci vado (a Genova) o se non ci
vado? Beppe Grillo ha optato per il sì, e si è preso fischi,
contestazioni e insulti; Matteo Renzi ha preferito di no, è andato
invece dagli industriali e ha annunciato un taglio alle tasse mai visto
prima. In questa scelta contrapposta non c’è soltanto un’astuzia
comunicativa, ma anche e soprattutto un posizionamento politico che
sembra oramai irreversibile. Il duello fra Grillo e Renzi si avvia
all’ultimo atto, e il comico sta vistosamente perdendo terreno.
Grillismo e renzismo nascono dall’implosione delle classi dirigenti
della Seconda repubblica, paralizzate dall’inefficienza e
dall’autoreferenzialità. Al “vaffa” radicale e nichilista di Grillo,
Renzi ha contrapposto all’inizio il “vaffa” democratico della
rottamazione. È partito in svantaggio, perché la crisi verticale della
politica genera rabbia e disperazione ed è più semplice (e più efficace
in termini di comunicazione) cavalcare e amplificare il rancore anziché
indicare – come ha sempre fatto Renzi – uno sbocco riformista che, per
quanto nuovo, inevitabilmente insiste nel campo logoro della politica.
In altre parole, Grillo ha cominciato cavalcando l’antipolitica mentre
Renzi ha cavalcato l’antipolitica per proporre una nuova agenda e una
nuova classe dirigente.
Quando Renzi è andato al governo, Grillo lo ha subito messo al centro
del mirino: scelta più che giusta, perché gli altri avversari erano
ormai usciti dalla scena. In questa seconda fase del duello, il comico
ha continuato a suonare la grancassa dell’antipolitica, dipingendo il
nuovo presidente del consiglio come la semplice reincarnazione della
politica di sempre. Renzi ha invece spostato il cuore della sua
comunicazione dalla rottamazione all’ottimismo, dalla denuncia alla
“cultura del fare”.
Tutti gli annunci che gli vengono imputati non sono altro che il
tentativo di rimettere in moto una macchina – l’Italia – imballata da
anni. In questa narrazione positiva, il polo negativo è diventato non
solo chi si oppone alle riforme, ma anche e soprattutto chi non ci
crede: sono i “gufi”, più che i conservatori, a impedire il cambiamento.
E Grillo, continuando ad irridere Renzi, si è posizionato da sé
nell’angolo vociante dei gufi.
L’episodio di Genova apre una terza e ultima tappa del duello. E la
apre con un paradosso: andando fra i volontari della città distrutta (e
per di più con cinque giorni di ritardo), Grillo si è comportato
esattamente come un politico della vecchia scuola. «Vieni per fare
passerella», gli ha gridato uno studente universitario con la maglietta e
le mani infangate. «Ti metti un po’ di fango – ha aggiunto un altro
volontario – e ti fai fare le foto, pagliaccio». E incredibilmente
Grillo ha risposto: «Che devo fare? Se vi fa piacere prendervela con la
politica – ha urlato battendosi le mani sul petto – io sono “la
politica”, sfogatevi con me».
Il leader del M5S voleva essere ironico, e sarcastico, e tagliente:
ma ha detto una grande verità, una verità percepita sempre più
diffusamente dall’opinione pubblica ed esternata con rabbia dai
volontari genovesi. Grillo è diventato un politicante: cioè uno che
parla, parla, parla e poi non fa niente. Uno che si esibisce di fronte
alle telecamere. Uno che gioca ipocritamente sulle disgrazie del paese
come un qualsiasi esponente della Casta. Uno che va in giro con la
scorta della Digos e le guardie del corpo private che menano i
fotoreporter, come è accaduto ieri a Genova.
Simmetrico al Grillo politicante c’è dall’altra parte il Renzi di
governo. Anche lui, se fosse andato a Genova, avrebbe preso una valanga
di fischi: ma se non ci è andato non è perché ne avesse paura (s’è
comunque beccato a Bergamo una dura contestazione della Fiom), ma perché
crede – e vuol dimostrare – che il compito di un uomo di governo non è
“fare passerella”, ma agire. E poiché l’Italia intera è sotto l’acqua
della Grande depressione, ha scelto nelle ore dell’alluvione di
presentare la nuova legge di stabilità, cioè una vera e propria terapia
d’urto che contiene 18 miliardi di tagli alle tasse e crea le condizioni
per una ripartenza.
Gli arrabbiati, gli irriducibili e i gufi ci saranno sempre, e prima o
poi ci sarà di nuovo una destra: ma la partita fra Grillo e Renzi può
dirsi felicemente conclusa.
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