Corriere della Sera 30/10/14
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Siamo tentati dal bipartitismo, ma
intanto in Italia rischiamo l’estinzione del bipolarismo. La logica
bipolare poggia infatti su due pilastri: ma se il pilastro della
destra si sgretola, il sistema diventa monco, asimmetrico,
squilibrato. Con la robusta spallata renziana, il dibattito politico
sembra essere occupato esclusivamente dallo scontro tra le «due
sinistre», perché la destra di governo non c’è più, è silente,
marginale, cupa, risucchiata nella rassegnazione minoritaria. Anche
le ultime elezioni europee hanno assistito al duello tra Renzi e
Grillo. Nel frattempo la destra di governo, che solo sei anni fa
totalizzava circa il 45% dei voti, è diventata una somma di sigle,
percentualmente tutt’altro che trascurabile: ma tanti frammenti non
fanno un intero.
E oggi tutti sanno che, in caso di elezioni,
non ci sarebbe partita. Il risultato finale sarebbe scontato. La
democrazia dell’alternanza diventerebbe un pallido ricordo.
È
crollata la destra di governo. L’umore di destra è ancora vivo. La
nuova Lega di Salvini è capace di portare una consistente fetta di
popolo in piazza. Ma è la destra protestataria che si alimenta di
rabbia e sofferenza sociale, forte e radicata come quella francese di
Le Pen (padre), non la destra di governo che compete per la conquista
della maggioranza, come avviene nel resto dell’Europa, talvolta
perdendo, talvolta vincendo, tuttavia sempre competitiva.
La
destra italiana si aggrappa al carisma residuo di Berlusconi, ma non
sa più parlare al suo «blocco sociale». Agganciandosi alla
locomotiva renziana, spera di intestarsi una titolarità e una nuova
rispettabilità «costituente» nella sfera delle riforme
istituzionali, ma senza portare qualcosa di «suo», senza
convinzione, senza entusiasmo, o per non dare un dispiacere a un
leader che sembra amare più il giovane rottamatore della parte
avversa che Forza Italia. La destra italiana non ha più un’idea
forte, qualcosa che convinca chi l’ha votata in passato a rinnovare
la sua fiducia e chi si affaccia per la prima volta alla politica a
scommettere insieme per il futuro. L’esercito delle partite Iva, la
piccola e media impresa, i commercianti, i liberi professionisti, il
vasto ceto medio che per vent’anni ha trovato nella destra la sua
casa è frastornato, deluso. Magari, galvanizzato dalla protesta
antitasse, è tentato da Salvini, anche se il furore contro gli
immigrati e gli inni del capo della Lega al Gulag della Corea del
Nord lo tengono a debita distanza. Magari non escluderebbe la carta
Grillo, anche se il leader dei Cinque Stelle appare appannato,
sbiadito, confuso. Oppure c’è la tentazione Renzi: ma innamorarsi
del leader dello schieramento avversario certifica la fine di una
storia politica, una diaspora infinita, la cancellazione di un intero
ciclo politico. Senza considerare i Comuni e le Regioni: persi uno ad
uno con percentuali avvilenti, come si è visto a Reggio Calabria nei
giorni scorsi.
Quando trionfava Berlusconi, almeno la sinistra
compensava i suoi dolori con il governo delle grandi città e delle
Regioni centrali. Alla destra un tempo di governo non resta nemmeno
questo contrappeso. Quando Berlusconi stravinceva, la sinistra aveva
i sindacati, le cooperative, gli intellettuali, l’ establishment
dei grand commis di Stato. Ma la destra non ha niente di tutto
questo.
La crisi drammatica in cui versa Forza Italia non
riguarda solo Forza Italia, ma il nostro sistema politico. La cosa
migliore del bipolarismo è la democrazia dell’alternanza: la paura
per chi governa di perdere il potere, di veder prevalere lo
schieramento avverso, di essere battuto alle elezioni e tornarsene a
casa. Una destra ripiegata in se stessa, rinchiusa nella sua
fortezza, attenta a captare ogni variazione nello stato umorale del
Re, paralizzata nell’attesa che al suo leader venga restituita
piena agibilità politica, frastornata dalla rivoluzione
generazionale che ha elettrizzato gli avversari guidati da Renzi, una
destra così è destinata alla sconfitta, alla testimonianza,
all’autoperpetuazione del proprio apparato.
Senza slanci,
senza nemmeno, forse, la voglia di vincere. Accontentandosi di
sperare che la legislatura non finisca presto e che almeno, visti i
numeri dell’attuale Parlamento, la destra abbia almeno voce in
capitolo nell’elezione del prossimo presidente della Repubblica. Un
colpo duro alla democrazia dell’alternanza, se la destra non
pensasse seriamente alla propria autoriforma. Un esito amaro per chi,
vent’anni fa , predicava il futuro radioso di una «rivoluzione
liberale».
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