Furono 368 le vittime del naufragio. Oggi sull'isola i
sopravvissuti e i parenti delle vittime che ancora non sanno dove sono
stati sepolti i propri cari. L’abbraccio del papa ai superstiti
Lampedusa
il 3 ottobre di un anno fa era un mare pieno di morti.
Trecentosessantotto ne avrebbero sommati sull’Isola dei conigli, corpi
di donne, bambini e uomini ignari e spaventati, stipati in quel
disastrato barcone che non li contenne, su cui erano stati imbarcati a
centinaia di chilometri di là dal Mediterraneo. Fu una «strage di
innocenti», per il capo dello stato Giorgio Napolitano.
Quelle sono solo alcune delle decine di migliaia che ogni anno
tentano l’impresa: da gennaio a oggi per l’Europa sono già partiti in
130mila e tremila di loro sono morti, spiega l’Unhcr.
Oggi è una giornata simbolo anche per queste vittime, è la giornata
di quelli che in un anno sono diventati testimoni di vite che non ci
sono più, pezzi del racconto di altri, superstiti. Sono figli, mariti,
mogli, genitori di anime annegate in circostanze orribili in una notte
nell’acqua gelida, di corpi gettati sulla costa siciliana e sepolti in
bare senza nome.
Lampedusa un anno dopo è un luogo dei ricordi e un’occasione per non
dimenticare, per gridare “mai più”. Sono i 368 drappi bianchi che alle
11 di questa mattina sventoleranno in un flashmob che si trasformerà in
un video-racconto, una cartolina per l’Ue che deve darsi da fare: è a
Bruxelles che si chiedono canali umanitari e l’istituzione ufficiale di
una “Giornata dell’accoglienza”.
Lo fanno – non da ora – le organizzazioni non governative, le
istituzioni religiose, i volontari sul campo e nei Cie, le donne e gli
uomini che lì stanno.
Lampedusa oggi sono quelle 368 lanterne che i sopravvissuti –
mercoledì sessanta di loro sono stati ricevuti da papa Francesco –
accenderanno in piazza alle sette di stasera. Sarà questo il momento con
cui si chiuderà la giornata delle tante manifestazioni che i comuni di
Linosa e Lampedusa per primi hanno voluto e appoggiato insieme all’Arci e
al Comitato spontaneo 3 ottobre, che vuole “proteggere le persone, non i
confini” e che per simbolo ha una bottiglia galleggiante, nella sua
pancia tre figure, tutte con lo sguardo rivolto verso il suo collo
stretto.
Molte sono le occasioni per ricordare: dalla serata speciale di
Raitre al Tg2 in diretta dall’isola alla diretta che dal Festival di
Internazionale a Ferrara ha organizzato con Medici senza frontiere. Le
ong unite, da Terre des Hommes a Oxfam a Msf chiedono di cambiare la
prospettiva dell’emergenza, che si predispongano percorsi sicuri e
legali per chi cerca salvezza in Europa attraverso il reinsediamento,
programmi di ammissione umanitaria e l’agevolazione dei ricongiungimenti
familiari.
Scriveva Save the Chidren a giugno in un rapporto, che l’età media
dei minori che hanno cercato di arrivare in Italia da gennaio a giugno è
cinque anni e che per la gran parte di questi bambini partono soli, in
fuga soprattutto dalla Siria e dalla Libia. Sono i bambini a ingrossare
il numero dei migranti che si infilano in quei barconi, che promettono
fortuna e portano morte invece di futuro. Lo sappiamo, non
dimentichiamolo.
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