Altro che fronda antirenziana, la versione del ministro sui "mille
giorni" è la più semplice spiegazione di ciò che il governo deve fare.
Diretta anche all'amico e compagno D'Alema
Abbiamo letto di tutto. Napolitano in rotta con Renzi.
Draghi in rotta con Renzi. Padoan in rotta con Renzi. Terra bruciata
intorno palazzo Chigi, l’idea che si stesse scavando là sotto una
galleria da mina nella quale far sprofondare il premier per sostituirlo
con una riedizione di gabinetti tecnici, presidenziali, d’emergenza se
non addirittura eurodiretti.
L’intervista di Pier Carlo Padoan al Foglio restituisce, dalle
stanze di via XX settembre presunto quartier generale della fronda,
un’immagine completamente diversa. Francamente più realistica,
soprattutto considerando la serietà del ministro dell’economia.
Ribadito da lui, l’orizzonte dei mille giorni perde i connotati
tattici o furbeschi che siamo ormai abituati ad accostare a Renzi. Per
come le mette Padoan, con tutta la sua esperienza internazionale, le
cose sono più banali ma più rassicuranti: quello è il tempo che serve
all’Italia per mandare a regime e verificare i risultati delle
indispensabili riforme ora in cantiere.
Nessuna concitazione, nessuna ansia, nessuna precipitazione. Però per
favore un po’ di coerenza: non si può chiedere per mesi di sfidare
l’ossessione rigorista tedesca, e poi darsi da fare per fermare le
riforme che devono fornire le munizioni di questa battaglia.
La lezioncina implicita e anche esplicita che il professor Padoan impartisce al suo
ex premier D’Alema (ne era consigliere economico nel ’98-’99) è
perfetta. Il mercato del lavoro si riforma anche in recessione, quel che
è decisivo è solo il consenso popolare intorno alle scelte. E deve
venire proprio dal tecnico Padoan questa rivendicazione di autonomia e centralità della politica…
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