Gianni Riotta
Il Sole 24 Ore
Ci sono bravi preti e bravi
giornalisti, ma tra i bravi preti bravi giornalisti don Zega era il
migliore: come sacerdote e come collega. Scomparso martedì a Milano,
a 82 anni, Leonardo Zega era celebre come direttore del settimanale
Famiglia Cristiana, dal 1980 al 1998, quasi due decenni in cui la sua
rubrica "Colloqui con il padre" accompagnò l'evoluzione
della morale cattolica italiana con carità, fede e straordinaria
arguzia. Ordinato sacerdote nella Compagnia di San Paolo nel 1954,
don Zega, come tutti lo chiamavano, era andato nelle Filippine,
imparando una realtà negata a tanti suoi confratelli: che il
cattolicesimo del XX secolo muta in modo formidabile, negli usi, i
costumi, le anime, tra città e campagna, paesi ricchi e paesi
poveri.
La sfida epocale della Chiesa, mantenere un credo e
una predicazione universali in un mondo così fratto, fu poi
interpretata dalla Cei con un richiamo forte al centralismo, nella
pratica pastorale e in politica. Leonardo Zega, uomo mite, preferì
guardare al singolo fedele, alla mamma alle prese con il figlio
inquieto, alla sposa confusa davanti alla rivoluzione sessuale,
all'uomo di mezza età frustrato dall'età del consumismo in amore.
Rispondeva come un confessore pubblico, sempre intento a confortare e
salvare il peccatore –vero o presunto che fosse- e non a
condannarlo al rogo mediatico.
Quando infine dovette lasciare
Famiglia Cristiana, che aveva portato al record di vendita di due
milioni di copie con medie oltre un milione, troppo forte il
contrasto con la gerarchia e il suo dissenso in politica, non cedette
neppure per un attimo alla solita rancorosa grancassa italiana. Se fu
amareggiato, e certo non gli piacque lasciare il lavoro della vita,
portò la sua croce in silenzio. E quando alla Stampa, allora diretta
da Marcello Sorgi, gli offrimmo una collaborazione, la accettò di
buon grado e, genio del giornalismo, seppe intrecciare con i lettori
del più nobile tra i giornali laici un colloquio fecondo e caloroso.
Arrivò insieme a lui Mina, grande artista che debuttava nel
giornalismo, e in breve la strana coppia, il parroco d'Italia e la
cantante più amata d'Italia, stregarono i lettori. Parlavano il loro
linguaggio, non erano rinchiusi nel circo dei media, erano benedetti
dal buon senso, virtù così rara.
Questo era il don Zega
giornalista, premiato nel 1998 con il Saint Vincent. Il prete era
altrettanto semplice e profondo, presente al battesimo a al
sacramento degli infermi, sollecito con gli amici, il suo telefonino
sapeva sempre squillare nei momenti più duri, pronto a pregare, con
discrezione. Per i suoi amati fratelli e sorelle dei Paolini aveva
una sollecitudine paterna. Dirigeva ora 3, periodico per gli anziani,
ma segnalava Famiglia Cristiana e le sue iniziative senza che nessuno
lo sapesse, allenatore in tribuna senza smania di apparire. Lo
invitai tante volte al Tg 1, gli proposi una rubrica: disse sempre
"No grazie, il mio tempo pubblico è terminato".
Che
un uomo così mite abbia ricevuto tanti insulti, molti li trovate
ancora online, ghiacciati per sempre dal rancore che inquina il cuore
di chi li ha vergati, è per noi fonte di rammarico e di
incoraggiamento. Rammarico per un paese in cui la bontà e la verità
son ripagati a calunnia. Incoraggiamento perché è dunque possibile
lavorare come lui, ricevere l'odio senza odiare, il rancore senza
ricambiarlo, il disprezzo senza disprezzare. Il giornalista don Zega
cercava la verità, il sacerdote don Zega credeva nella Verità, ma
nel mio amico Leonardo non ho mai saputo vedere dove finisse l'uno e
cominciasse l'altro. I funerali domani a Milano, ore 16 chiesa di San
Pietro in Sala.
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