martedì 24 febbraio 2015

UN PREMIER CHE SCEGLIE DI VOLTA 
IN VOLTA GLI AVVERSARI.


Corriere della Sera 24/02/15
Massimo Franco
Può darsi che abbia commesso davvero un errore, come sostiene la minoranza del Pd. Eppure, nel modo in cui Matteo Renzi e il governo hanno deciso la riforma del mercato del lavoro, il Jobs act, si intravede soprattutto calcolo. Il presidente del Consiglio sapeva che un provvedimento preso senza tenere conto delle indicazioni delle commissioni parlamentari avrebbe scontentato la sinistra; e gli avrebbe tirato addosso gli strali del sindacato, Cgil in testa. Avere contro un’opposizione di questo tipo, tuttavia, a Palazzo Chigi fa quasi comodo.

I veri avversari del governo, quelli che rappresentano un pericolo, sono a Bruxelles, non a Roma. Sono questi che Renzi ha cercato di tacitare scegliendo una versione del Jobs act «centrista» e applaudita dagli imprenditori. Quando ieri il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, si è dichiarato «moderatamente ottimista» sul giudizio che l’Ue darà venerdì analizzando i conti italiani, lo ha fatto anche per il giudizio positivo sulla riforma. Le istituzioni europee, per quanto criticate e impopolari, si confermano il giudice ultimo delle politiche economiche dei singoli Paesi; con l’ipoteca tedesca più forte che mai.

Sotto questo aspetto, la quasi capitolazione del governo greco di sinistra, passato dalle minacce a un compromesso al ribasso, è stata istruttiva. D’altronde, sia la minoranza del Pd sia Sinistra e libertà sia la componente radicale della Cgil che fa capo al segretario dei metalmeccanici, Maurizio Landini, non appaiono in grado di insidiare il potere del premier. Il presidente dei deputati del Pd, Roberto Speranza, avverte che se anche i pareri del Parlamento «non sono vincolanti», il governo rischia di farsi male ignorandoli.

Ma anche queste critiche non sono in grado di modificare i rapporti di forza. A dividere Renzi da questi settori del partito e della società sono un’ottica e una strategia diverse. La vecchia idea dei vertici del Pd di non avere nemici a sinistra, è, se non ribaltata, adattata ai nuovi tempi. Di volta in volta, l’avversario viene scelto in nome dell’obiettivo temporaneo. Il governo «manda in soffitta il metodo col quale è stato eletto» Sergio Mattarella al Quirinale. «L’unità del Pd è un optional di cui si fa a meno quando non serve» protesta Cesare Damiano, presidente della commissione Lavoro.

È vero. Ed è altrettanto vero che procedendo così Palazzo Chigi corre il rischio di passare da una serie di alleanze intercambiabili alla difficoltà di trovare anche una sola maggioranza parlamentare. Finora, però, il pericolo è stato sventato grazie alle divisioni vistose del fronte avversario: si tratti di Forza Italia, della sinistra Pd o del M5S. Sono le loro debolezze a fare apparire Renzi forte, quasi imbattibile. E se sono vere le stime di Confindustria su 150 mila nuovi occupati, il suo azzardo potrebbe perfino rivelarsi riuscito.

Nessun commento:

Posta un commento