Corriere della Sera 25/02/15
Lorenzo Salvia
Pantaloni rossi lei, maglioncino blu
simil-Marchionne lui. C’era una volta la Cgil cinghia di
trasmissione del partito di sinistra più grande d’Europa.
Stamattina, invece, anche il dress code dice che le trasmissioni sono
finite da un pezzo e che piuttosto bisogna marcare la distanza.
Casa
del jazz, villa confiscata alla banda della Magliana e trasformata in
spazio eventi. Il confronto è fra Susanna Camusso, il segretario
generale della Cgil, e Filippo Taddei, il responsabile economia del
Pd tra i guru del Jobs act, la riforma del lavoro targata Renzi.
Trattandosi di evento era difficile immaginare un lancio migliore: il
segretario della Fiom Maurizio Landini ha detto che il sindacato deve
pensare a una «coalizione sociale», Camusso ha già risposto che
«noi dobbiamo fare il nostro mestiere di rappresentanza dei
lavoratori»; Landini rilancia dicendo che la Fiom ha 350 mila
iscritti, più del Pd, e dal Pd ribattono che i loro tesserati sono
in realtà di più, 366 mila. Poi c’è pure l’ex segretario Pier
Luigi Bersani: «Adesso puoi essere licenziato perché sei stato
troppo al bagno», dice preparando il terreno per la convention della
sinistra Pd di marzo. Mentre la presidente della Camera Laura
Boldrini torna sull’uomo solo al comando di cui aveva parlato
domenica: «Non credo Renzi se la sia presa» ma «da presidente era
mio dovere difendere le commissioni parlamentari». Insomma, la
sinistra è davvero una gioiosa macchina da guerra. E qui alla sala
del jazz il dibattito è altrettanto frizzante.
«Il governo non
ha nessuna idea dell’orizzonte verso il quale vuole andare ma solo
una disperata voglia di propaganda» attacca Camusso che gioca in
casa, perché la tavola rotonda è stata organizzata dalla Cgil. «Non
si può guardare solo alle riforme del lavoro senza considerare
quanto era grave la situazione del Paese. Si può discutere
dell’efficacia del nostro intervento, non delle sue intenzioni»
replica Taddei nella tana del lupo, con un brusio di dissenso che lo
accompagna ad ogni intervento. Due analisi diverse, due ricette
opposte. E due mondi lontani anche quando si scende nel
tecnico.
Prendete il contratto a tutele crescenti, il cuore del
Jobs act , che tra pochi giorni sostituirà di fatto il reintegro da
parte del giudice con l’indennizzo economico. Il segretario della
Cgil (che lo chiama sempre «a monetizzazione crescente») fa la sua
previsione: «Fra tre o quattro mesi il governo dirà che ha avuto un
successo straordinario. Solo che gran parte di quel lavoro non sarà
aggiuntivo ma sostitutivo, lavoratori anche a tempo indeterminato che
saranno spostati su questo contratto accettando tutele più basse».
Taddei ribatte: «Ma come si fa a dire questo? Oggi un precario viene
mandato via in 30 giorni, senza indennizzo subito e senza
ammortizzatori sociali dopo. Con questo contratto avrà indennizzo e
ammortizzatori». Il brusio sale di tono. «Segretario» lo chiama
lei, reggendogli il microfono. «Non sono segretario, faccio parte
della segreteria del partito», risponde lui. E la Camusso lo incalza
ancora: «Nel sindacato tutti quelli che sono in segreteria sono
segretari. Siamo democratici, non gerarchici». In sala qualcuno dice
che sembrano Sandra e Raimondo in Casa Vianello. E per fortuna siamo
ai titoli di coda.
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