PAOLO GRISERI
La Repubblica 22 febbraio 2015
Tutti gli imprenditori in queste ore
premettono che «la scelta di assumere o licenziare dipende
innanzitutto dal mercato e dalle commesse. Nessuno aumenta l’organico
perché c’è una nuova legge». Frase ripetuta come un mantra, a
scanso di equivoci. «Sarà anche noioso ma va detta e ridetta perché
non ci si illuda: se la ripresa dovesse rallentare non c’è legge
che tenga», dice Marco Gay, presidente dei giovani di Confindustria.
Ma se la ripresa si conferma («preferisco chiamarla ripartenza,
meglio essere prudenti») allora «è evidente che l’effetto della
defiscalizzazione per i nuovi assunti previsto dalla legge di
stabilità e quello dei vantaggi del nuovo contratto a tutele
crescenti possono far ripartire le assunzioni», spiega Gay. Quanto
può pesare sull’occupazione questo effetto combinato? Una
simulazione è stata fatta da Bruno Anastasia, presidente di Ires
Veneto che l’ha pubblicata su La Voce. info del 4 novembre scorso:
«Possiamo stimare un ammontare di assunzioni incentivabili vicino a
un milione, al netto di possibili assunzioni aggiuntive dovute
all’impatto della congiuntura economica ». Certo, la cifra di un
milione di posti di lavoro fa tornare alla mente altre promesse della
politica. E va sottolineato che i contratti incentivabili non sono
per forza posti di lavoro aggiuntivi: potrebbe trattarsi di contratti
che sarebbero stati fatti comunque, anche senza incentivi. Ma a
giudicare dai primi segnali che sono venuti dalle imprese in questi
ultimi mesi, c’è da constatare comunque un risveglio delle
assunzioni. Ormai da tempo aziende di grandi dimensioni hanno già
annunciato che intendono approfittare della nuova legge. A fine 2014
era stata Telecom a fare da apripista: «Se passerà il job’s act
potremmo assumere tra le tre e le quattromila persone in due anni»,
aveva detto l’ad della società, Marco Patuano. Pietro Salini, ceo
di Salini-Impregilo, ha parlato di «2.500 assunzioni in Italia nei
prossimi 12 mesi». E Sergio Marchionne, al Salone di Detroit, aveva
annunciato «1.000 nuove assunzioni a Melfi».
Quale sarà invece l’effetto sulle
piccole e medie aziende, quelle che hanno delocalizzato con più
facilità negli anni della crisi? «Qui — spiega Gay — conta
molto l’effetto legato alla maggiore flessibilità in uscita. Se io
so che non sono vincolato a tenere a vita i miei dipendenti in
azienda, posso rischiare anche un investimento che nella condizione
precedente avrei giudicato imprudente ». E’ il paradosso per cui
la possibilità di licenziare avrebbe effetti positivi sulle
assunzioni. Ma conterà soprattutto, come segnala uno studio della
Uil del dicembre scorso, quello che i giuristi chiamano il «combinato
disposto », tra l’abolizione dei contributi a carico delle imprese
per i primi tre anni di assunzione e l’abolizione dell’articolo
18 sostituito con gli indennizzi previsti dal contratto a tutele
crescenti. La simulazione dalla Uil spiega che gli sgravi fiscali
previsti dalla legge di stabilità sono molto superiori agli
indennizzi che le aziende sono obbligate a pagare in caso di
licenziamento di un dipendente assunto con il contratto a tutele
crescenti. Un vantaggio per le aziende che, nel caso di licenziamento
senza giusta causa dopo tre anni, varia da 5 a 14 mila euro a seconda
dell’inquadramento. Ma anche in questa condizione di indubbio
favore, le associazioni degli imprenditori dicono che si sarebbe
potuto fare di più: «Spiace — dice Gay — che non si sia potuto
estendere a tutti i dipendenti il nuovo regime. Così avremo i nuovi
assunti con un sistema diverso da chi è arrivato prima in azienda».
Le imprese avranno la tentazione di effettuare quello che in gergo si
chiama il «ricambio del sangue», sostituendo i lavoratori con
contratti più onerosi? «Queste cose non si fanno», risponde Gay. E
aggiunge: «Se un imprenditore ha fiducia nei suoi dipendenti, non se
ne libera per calcoli di questo genere».
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