La Repubblica 11 febbraio
ETTORE LIVINI
Il piano di salvataggio della Grecia
messo a punto dalla Troika è segnato da «errori evidenti». Le
stime erano «criticabili perché troppo ottimiste ». Le conseguenze
delle misure lacrime e sangue imposte al paese «sono state
sottovalutate». Di più: «Per Atene e per i contribuenti europei
sarebbe stato meglio ristrutturare il debito nel 2010». Non è stato
fatto fino al 2012. E questo ritardo «ha permesso ai creditori
privati, in buona parte società finanziarie del Vecchio continente,
di liberarsi dei crediti e girarli a istituzioni pubbliche». Yanis
Varoufakis? Alexis Tsipras? No. A stroncare così l’operato della
Troika è il primo “pentito” dell’austerità: il Fondo
Monetario Internazionale. Che qualche tempo fa ha messo nero su
bianco le lezioni imparate dalla crisi ellenica. E gli errori, tanti,
da non ripetere più in futuro.
La sostanza, naturalmente, non cambia.
La Grecia, lo sanno anche i greci, è vittima dei suoi errori: un
decennio vissuto sopra i propri mezzi, i conti dello stato truccati
(senza che Eurostat se ne accorgesse), un’amministrazione pubblica
ipertrofica e inefficiente per motivi clientelari. E senza i 240
miliardi di prestiti di Ue, Bce e Fmi, Atene sarebbe fallita nel
2010. Le 50 pagine fitte di dati e di tabelle del Fondo raccontano
però bene come la medicina della Troika abbia quasi finito per
uccidere il malato (che oggi chiede il conto ai dottori). E come
qualcuno l’avesse fatto notare sin dall’inizio.
Pablo Andres Pereira, ad esempio, è
stato facile profeta. «La nostra terapia rischia di peggiorare le
cose ad Atene invece che migliorarle», ha fatto mettere a verbale il
rappresentante argentino nel Fondo alla riunione del 9 maggio 2010,
quella che ha dato il via libera al memorandum. «I piani di crescita
sono troppo ottimistici», ha aggiunto lo svizzero Rene Weber senza
sapere (si è capito dopo) che la base ideologico- matematica
dell’intervento – la formula Reinhart-Rogoff – era viziata da
un errore legato al mancato trascinamento di alcuni dati su un foglio
Excel. «A me questo più che un salvataggio della Grecia sembra un
salvataggio delle banche esposte con il paese», ha fatto notare il
brasiliano Paulo Noguiera Batista.
Washington, con il senno di poi,
ammette che in parte avevano ragione. I numeri sono pietre: il pil
della Grecia ha perso il 25% dal 2010 contro il - 3% previsto dalla
Troika. La disoccupazione viaggia al 25% contro il 13% vaticinato
dagli oracoli di Ue, Bce e Fmi. E il debito per cui era previsto un
picco al 154% del pil nel 2013, viaggia ora al 175%, malgrado la
ristrutturazione del 2012. Risultato: dei 240 miliardi di prestiti
agevolati alla Grecia solo 20 sono finiti davvero nell’economia
reale mentre il resto è servito a pagare interessi e rimborsi ai
creditori (149 miliardi) o a ricapitalizzare le banche (48,2).
Il salvataggio del 2010 «è servito a
tenere Atene nella moneta unica, a evitare il contagio e a congelare
la situazione per consentire al resto dell’Europa di mettersi in
salvo », scrive l’Fmi. Anche perché «le banche europee avevano
larghe esposizioni alla Grecia e agli altri Piigs e avrebbero poi
dovuto essere salvate anche loro». In molti – ammette il rapporto
– avevano pensato a un piano che prevedesse un’austerità più
graduale, ma era «politicamente impossibile» perché sarebbero
serviti più finanziamenti «che le parti non erano in grado di
garantire». Due pesi e due misure, se è vero che l’Europa (dati
Mediobanca) a fine 2013 aveva stanziato 3.165 miliardi come capitale
e garanzie per salvare le banche dopo il ciclone Lehman. I governi di
Atene, dice lo studio, hanno complicato le cose rallentando le
riforme. «Ma noi avremmo dovuto distribuire i sacrifici in modo più
equo», conclude l’Fmi, segnalando a futura memoria «le notevoli
divergenze d’opinioni e le difficoltà a coordinare il lavoro con
Ue e Bce».
I mea culpa del Fondo – ha tagliato
corto dopo la pubblicazione del rapporto Poul Thomsen, il suo
rappresentante nella Troika – non cambiano nulla: «Tornassimo
indietro rifaremmo le stesse cose», ha detto. Ma in queste ore di
negoziati Atene rimetterà sul tavolo delle trattative anche i danni
causati dai suoi presunti salvatori: «Errori ce ne sono stati», ha
ammesso prima di venire eletto presidente della Commissione Jean
Claude Juncker. Per questo il governo ellenico vuole che il conto,
alla fine, lo paghi un po’ anche lui.
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