mercoledì 11 febbraio 2015

Errori, ritardi e liti nel flop della Troika ora il mea culpa arriva anche dall’Fmi

La Repubblica 11 febbraio
ETTORE LIVINI
Il piano di salvataggio della Grecia messo a punto dalla Troika è segnato da «errori evidenti». Le stime erano «criticabili perché troppo ottimiste ». Le conseguenze delle misure lacrime e sangue imposte al paese «sono state sottovalutate». Di più: «Per Atene e per i contribuenti europei sarebbe stato meglio ristrutturare il debito nel 2010». Non è stato fatto fino al 2012. E questo ritardo «ha permesso ai creditori privati, in buona parte società finanziarie del Vecchio continente, di liberarsi dei crediti e girarli a istituzioni pubbliche». Yanis Varoufakis? Alexis Tsipras? No. A stroncare così l’operato della Troika è il primo “pentito” dell’austerità: il Fondo Monetario Internazionale. Che qualche tempo fa ha messo nero su bianco le lezioni imparate dalla crisi ellenica. E gli errori, tanti, da non ripetere più in futuro.
La sostanza, naturalmente, non cambia. La Grecia, lo sanno anche i greci, è vittima dei suoi errori: un decennio vissuto sopra i propri mezzi, i conti dello stato truccati (senza che Eurostat se ne accorgesse), un’amministrazione pubblica ipertrofica e inefficiente per motivi clientelari. E senza i 240 miliardi di prestiti di Ue, Bce e Fmi, Atene sarebbe fallita nel 2010. Le 50 pagine fitte di dati e di tabelle del Fondo raccontano però bene come la medicina della Troika abbia quasi finito per uccidere il malato (che oggi chiede il conto ai dottori). E come qualcuno l’avesse fatto notare sin dall’inizio.
Pablo Andres Pereira, ad esempio, è stato facile profeta. «La nostra terapia rischia di peggiorare le cose ad Atene invece che migliorarle», ha fatto mettere a verbale il rappresentante argentino nel Fondo alla riunione del 9 maggio 2010, quella che ha dato il via libera al memorandum. «I piani di crescita sono troppo ottimistici», ha aggiunto lo svizzero Rene Weber senza sapere (si è capito dopo) che la base ideologico- matematica dell’intervento – la formula Reinhart-Rogoff – era viziata da un errore legato al mancato trascinamento di alcuni dati su un foglio Excel. «A me questo più che un salvataggio della Grecia sembra un salvataggio delle banche esposte con il paese», ha fatto notare il brasiliano Paulo Noguiera Batista.
Washington, con il senno di poi, ammette che in parte avevano ragione. I numeri sono pietre: il pil della Grecia ha perso il 25% dal 2010 contro il - 3% previsto dalla Troika. La disoccupazione viaggia al 25% contro il 13% vaticinato dagli oracoli di Ue, Bce e Fmi. E il debito per cui era previsto un picco al 154% del pil nel 2013, viaggia ora al 175%, malgrado la ristrutturazione del 2012. Risultato: dei 240 miliardi di prestiti agevolati alla Grecia solo 20 sono finiti davvero nell’economia reale mentre il resto è servito a pagare interessi e rimborsi ai creditori (149 miliardi) o a ricapitalizzare le banche (48,2).
Il salvataggio del 2010 «è servito a tenere Atene nella moneta unica, a evitare il contagio e a congelare la situazione per consentire al resto dell’Europa di mettersi in salvo », scrive l’Fmi. Anche perché «le banche europee avevano larghe esposizioni alla Grecia e agli altri Piigs e avrebbero poi dovuto essere salvate anche loro». In molti – ammette il rapporto – avevano pensato a un piano che prevedesse un’austerità più graduale, ma era «politicamente impossibile» perché sarebbero serviti più finanziamenti «che le parti non erano in grado di garantire». Due pesi e due misure, se è vero che l’Europa (dati Mediobanca) a fine 2013 aveva stanziato 3.165 miliardi come capitale e garanzie per salvare le banche dopo il ciclone Lehman. I governi di Atene, dice lo studio, hanno complicato le cose rallentando le riforme. «Ma noi avremmo dovuto distribuire i sacrifici in modo più equo», conclude l’Fmi, segnalando a futura memoria «le notevoli divergenze d’opinioni e le difficoltà a coordinare il lavoro con Ue e Bce».
I mea culpa del Fondo – ha tagliato corto dopo la pubblicazione del rapporto Poul Thomsen, il suo rappresentante nella Troika – non cambiano nulla: «Tornassimo indietro rifaremmo le stesse cose», ha detto. Ma in queste ore di negoziati Atene rimetterà sul tavolo delle trattative anche i danni causati dai suoi presunti salvatori: «Errori ce ne sono stati», ha ammesso prima di venire eletto presidente della Commissione Jean Claude Juncker. Per questo il governo ellenico vuole che il conto, alla fine, lo paghi un po’ anche lui.

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