Corriere della Sera 01/02/15
L. Fontana
Il lunghissimo applauso liberatorio,
scattato al raggiungimento del quorum da parte del candidato
presidente Sergio Mattarella, racconta più di ogni altra cosa lo
stato d’animo con cui i grandi elettori hanno vissuto questo
appuntamento. Il Partito democratico e la sinistra dovevano
cancellare una delle pagine più nere della loro recente storia
politica, l’affondamento di Romano Prodi per mano dei franchi
tiratori solo due anni fa. Stessi votanti ma risultato completamente
diverso. Anzi molti «franchi sostenitori» sono arrivati dalle file
del centrodestra e degli ex grillini. Il neopresidente ha sfiorato i
due terzi dei sì che permettono l’elezione alla prima
votazione.
Una pagina positiva per le istituzioni e certamente
una vittoria per Matteo Renzi. Il presidente del Consiglio ha
ottenuto un risultato importante, ha dimostrato di saper perseguire
con determinazione e disinvoltura i suoi obiettivi. Non ha avuto
paura dei rischi e non ha cercato compromessi a ogni costo. La
muscolarità con cui ha affrontato la sfida avrà però sicuramente
conseguenze, al momento difficili da valutare.
Al Quirinale
viene eletta una personalità dall’alto profilo politico e
istituzionale, appartenente alla prima Repubblica, sostenuto anche
dagli oppositori di Renzi nel Pd e da quel mondo della sinistra
radicale che ha combattuto le riforme del premier.
Uomo colto,
austero, dal tratto poco interventista. Si illude però chi pensa che
sarà un presidente addetto alle cerimonie e al taglio dei nastri,
dipendente dal governo in carica o dalla sua maggioranza. Mattarella,
un minuto dopo il suo insediamento, sarà il garante dell’unità
della nazione e dell’interesse generale del Paese. Non ha infatti
bisogno di dire grazie a nessuno. Avrà un orizzonte di sette anni e
saprà dimostrare la più completa autonomia. Al di sopra delle
parti, mai sopra le righe e mai sotto tutela.
Mattarella ha,
inoltre, una profonda conoscenza della Costituzione e dei meccanismi
istituzionali (la legge elettorale in vigore per alcuni anni portava
il suo nome). Sicuramente farà sentire il suo peso nel percorso
delle riforme che il Parlamento voterà nei prossimi mesi. Il largo
risultato ottenuto rafforza il suo ruolo e la sua possibilità di
indirizzare e di incidere.
Matteo Renzi ha voluto parzialmente
correggere, prima della quarta votazione, la proposta iniziale
presentata alle altre forze politiche con il tono del prendere o
lasciare. Una scelta che univa tutto il Pd e trovava il sostegno
caloroso della sinistra di Vendola. Un’alleanza però molto diversa
da quella che regge il suo governo e lontana dal patto del Nazareno,
che ha dato il primo via libera alla riforma elettorale e
istituzionale. Il coinvolgimento tardivo e sofferto dei centristi di
Alfano e Casini e i voti arrivati da Forza Italia cambiano in parte
lo scenario iniziale. Ma lo strappo c’è stato e non sarà facile
recuperarlo.
Il premier sa che le sue riforme economiche hanno
tanti nemici nella sinistra del Pd e raccolgono l’ostilità totale
di Sel. Quanto durerà l’unità di facciata del partito andata in
scena ieri? E se durerà, non verrà pagata a caro prezzo sul fronte
delle riforme? Il recupero di un rapporto di fiducia e di lealtà con
la parte moderata della maggioranza è un punto non eludibile. La
sensazione diffusa è che la relazione non sarà più quella di una
volta. Prima sarà fatta questa verifica, meglio sarà per il
Paese.
Ancora più problematico è il destino delle riforme.
Forza Italia è un partito attraversato da tensioni di ogni tipo, un
fiume gonfio di ostilità, dissociazioni, linee e interessi
contrastanti. Berlusconi sta vivendo una fortissima delusione
politica e personale. Aveva puntato tutto su Renzi e sul patto del
Nazareno, considerava Matteo il figlio politico che mai aveva trovato
nel suo partito. Renzi non gli ha dato sponde, ha voluto imporre un
rapporto in cui è chiaro chi dà le carte e chi deve adeguarsi. In
queste condizioni il destino parlamentare delle riforme diventa, per
usare un eufemismo, accidentato.
Il primo compito del neo
presidente Mattarella sarà proprio quello di favorire il ritorno a
un clima di dialogo e di confronto tra le forze politiche. Il Paese
non può permettersi un’altra legislatura senza riforme economiche
e istituzionali, tanto meno di avviarsi verso nuove elezioni
anticipate, proprio nell’anno di una timida, e a lungo agognata,
ripresa.
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