PIERO IGNAZI
La Repubblica 24 febbraio 2015
I partiti sono fuorilegge? Si sono
adeguati alle norme sulla loro organizzazione e sulle loro attività
che sono state introdotte proprio un anno fa? In questi giorni sarà
possibile verificarlo. Infatti, il 21 febbraio scadevano i termini
per la presentazione degli statuti delle formazioni politiche alla
“Commissione di garanzia degli statuti e per la trasparenza e il
controllo dei rendiconti dei partiti politici”, l’organismo
istituito con la legge del febbraio 2014 sull’abolizione del
finanziamento pubblico diretto e sulla trasparenza e democraticità
dei partiti. Ai cinque alti magistrati della Commissione la legge
affida il compito di vagliare, oltre i conti, le regole interne e i
comportamenti dei partiti, al fine di consentire loro di accedere ai
benefici previsti dalle nuove regole sul finanziamento. L’aspetto
curioso è che la revisione della normativa sui contributi statali ai
partiti, richiesta a gran voce dal clima antipolitico ed anti-casta
degli ultimi anni, è stata utilizzata per introdurre anche alcune
misure sulle modalità organizzative dei partiti: invece di varare
una vera e propria legge organica sui partiti politici, come hanno
ormai tutti i Paesi europei sulla scia del battistrada tedesco, che
la adottò nel 1967, si è presa la scorciatoia della revisione del
finanziamento pubblico.
Comunque, buoni ultimi siamo arrivati
anche noi a definire qualche linea guida. Ma quanto sono incisive —
e quanta probabilità hanno di essere rispettate — le prescrizioni
di questa legge? Se guardiamo alle questioni legate al finanziamento,
ancora una volta, come di regola in terra italica, troviamo controlli
e sanzioni molto carenti. Quelli che vengono indicati hanno tutta
l’aria di essere dei pannicelli caldi: sono infatti previste solo
lievi ammende, attraverso la decurtazione dei contributi volontari.
Nulla di paragonabile alla possibilità di comminare una super multa
come quella affibbiata a Nicolas Sarkozy dalla analoga commissione
francese (la CNCCFP), che lo ha giudicato colpevole di avere inserito
nelle spese presidenziali, durante la campagna elettorale del 2012,
un’iniziativa di carattere politico. L’ex presidente francese ha
così pagato 363.615 euro, una somma che oggi farebbe traballare i
conti delle formazioni politiche italiane. Per ricordare lo stato
delle finanze dei nostri partiti, Forza Italia sta decimando i suoi
funzionari dopo che già aveva messo in cassa integrazione 43
dipendenti del Pdl. E può procedere tranquillamente al licenziamento
perché gode del paracadute garantito dalla nuova normativa sul
finanziamento pubblico, che mette a disposizione per questa
eventualità 15 milioni per il 2014, 8,5 per il 2015 e 11,25 per il
2016. Poi vedremo quanto la sostituzione del finanziamento pubblico
con la contribuzione volontaria, sia nella forma della donazione
(detassata al 26 per cento) che della detrazione Irpef del 2 per
mille, darà i frutti previsti. Pensando all’esito fallimentare di
un meccanismo simile, introdotto e rapidamente abbandonato alla fine
degli anni Novanta, c’è da temere il peggio. In sintesi: questa
legge con una mano toglie (progressivo azzeramento dei contributi
diretti), ma con l’altra dà (cassa integrazione per i dipendenti,
e generose agevolazioni fiscali per i contributi volontari). Dunque,
seppure in forma più mascherata, e limitata, i cittadini
continueranno a sostenere le attività dei partiti. Cosa, a parere di
chi scrive, sacrosanta, benché la ventata iconoclasta
dell’antipolitica abbia costretto il legislatore a questi
contorcimenti.
Se le norme del finanziamento lasciano
perplessi sia in merito al meccanismo delle entrate che all’efficacia
dei controlli, lo scetticismo aumenta analizzando le norme che
dovrebbero garantire trasparenza e democraticità. La legge, pur
nella sua schematicità, indica alcune regole che i partiti devono
rispettare se vogliono essere inseriti nel nuovo Registro ufficiale
ed accedere ai benefici finanziari connessi. Il problema è che,
finora, i partiti non si sono curati molto di quanto precisato dalla
normativa da loro stessi approvata. Ad esempio, le indicazioni che
obbligano ad indicare nei loro statuti “la cadenza delle assemblee
congressuali nazionali o generali” (art. 3b), “i criteri con i
quali è promossa la presenza delle minoranze, ove presenti, negli
organismi collegiali non esecutivi” (art. 3e), e le modalità di
selezione delle candidature per tutte le assemblee rappresentative e
le cariche monocratiche (art. 3l) sembrano essere rimaste lettera
morta. Uno sguardo agli statuti disponibili mostra infatti grande
vaghezza e imprecisione su questi aspetti. Vedremo se i partiti
correranno presto ai ripari e adotteranno regole precise e cogenti.
Altrimenti saranno da considerarsi “fuorilegge”
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