Corriere della Sera 09/02/15
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Matteo Renzi deve riconfigurare la sua
strategia. Silvio Berlusconi ha rotto il patto del Nazareno e
promette battaglia. Non è tattica per ottenere qualcos’altro. Il
presidente del Consiglio lo sa bene: «Il leader di Forza Italia non
tornerà indietro. È entrato in campagna elettorale permanente».
Il
che non vuol dire che quando gli converrà l’ex Cavaliere non
voterà a favore dei provvedimenti del governo. L’Italicum, per
esempio. A Berlusconi, tutto sommato, quella modifica dell’attuale
legge elettorale non va male. E quella riforma, per il presidente del
Consiglio, «non si tocca». Il premier non ha intenzione alcuna di
mettersi a fare giochetti sui capilista per accontentare la sua
minoranza interna. «Quelli — spiegano al Nazareno — hanno solo
il problema di farsi rieleggere i loro e stanno facendo questa
battaglia nella speranza di avere una quota garantita dalla
segreteria quando verrà il momento delle elezioni, non certo per
ottenere delle preferenze che non hanno».
Né è intenzione di
Renzi agitare lo spauracchio delle preferenze per spaventare l’ex
Cavaliere agitando o prefigurando altri possibili cambiamenti
dell’Italicum che in realtà non piacciono nemmeno a lui. «Quella
è la legge e quella rimane».
Già, il sistema che è appena
stato approvato al Senato e che ora verrà esaminato dalla Camera gli
serve per dare vita a quello che lui ama chiamare «il Partito degli
Italiani», ossia, il «progetto originario del Partito democratico»,
e a quel l’ipotesi non rinuncerà per nulla al mondo. Perché per
la sua cultura politica «il bipolarismo coincide con il
bipartitismo» e l’Italicum potrebbe essere la fonte di tutto
ciò.
Del resto, non sembra preoccupare il governo nemmeno la
minaccia, che pure qualcuno agita, di un’eventuale bocciatura della
Corte costituzionale. «Non c’è nessun problema, siamo certi che
la Consulta darà il via libera senza problemi all’Italicum»,
spiega il renzianissimo David Ermini. Se riuscisse a farla passare
solo alla Camera, pazienza: grazie al Consultellum, al Senato lo
sbarramento è talmente alto che i piccoli partiti, intendendo per
tali anche quelli che veleggiano intorno al cinque per cento,
verrebbero decimati.
Ma Berlusconi fa la faccia feroce sulla
riforma costituzionale del Senato e del Titolo V della Carta
fondamentale e sul resto dei provvedimenti che il governo Renzi
metterà in campo, forte della maggioranza esigua di cui l’esecutivo
dispone a Palazzo Madama.
Però Renzi, che, come ha spiegato più
volte, non è un «improvvisatore», bensì «uno che studia tutte le
situazioni» si è preparato anche a questa evenienza. «Venti di
quelli di Berlusconi sono già con noi in Senato e basta guardare ai
movimenti costanti che si registrano in quel ramo del Parlamento,
anche nel Movimento 5 Stelle, per capire che la situazione è in
movimento». Insomma «l’azione di governo non rischia nulla,
abbiamo un margine ampio».
L’unico dubbio del presidente del
Consiglio riguarda la riforma costituzionale del Senato, «al limite,
quella potrebbe essere cambiata, non ora nella prima lettura della
Camera, ma nella seconda, a Palazzo Madama», però «non è affatto
detto», «potrebbe accadere solo se non ci sono i numeri, ma io,
sinceramente, e lo dico non per propaganda, credo che ci
saranno».
La scommessa di Renzi è basata sull’istinto di
sopravvivenza dei parlamentari, i quali sanno che, anche se è vero
che un presidente della Repubblica appena eletto difficilmente manda
il Paese al voto, è altrettanto improbabile che per l’ennesima
volta un capo dello Stato dia vita a un governo non legittimato dalle
elezioni. Perciò meglio tenersi ben stretto il governo Renzi. Il
quale Renzi non cambia il suo atteggiamento di fronte alle difficoltà
di questi giorni.
L’offensiva di Silvio Berlusconi non gli ha
fatto cambiare itinerario. È vero che era convinto che a un certo
punto il leader di Forza Italia «sbollisse la rabbia» e «si
facesse una ragione di quello che era successo», anche perché «non
era la prima volta che il nome di Sergio Mattarella gli veniva fatto,
visto che era già stato sondato più di venti giorni fa su di
lui».
L’eccesso di reazione da parte dell’ex Cavaliere lo
ha quindi sorpreso. Ma fino a un certo punto. Perché gli
ambasciatori di via del Plebiscito gli avevano già riferito
dell’arrabbiatura del leader di Forza Italia sulla norma del 3 per
cento sul decreto fiscale.
Non era questo ciò che Berlusconi
aveva chiesto al presidente del Consiglio. Era un altro il
provvedimento che l’ex Cavaliere, su suggerimento del suo avvocato
Nicolò Ghedini, voleva e che non ha avuto. Ed è da allora, in
realtà che il patto del Nazareno ha cominciato a incrinarsi, senza
che se ne accorgesse nessuno. O quasi.
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