Corriere della Sera 12/02/15
Sabino Cassese
Esiste — come è stato dichiarato nei
giorni scorsi — una deriva autoritaria in Italia? Non credo che la
democrazia sia in pericolo perché il presidente del Consiglio in
carica non è parlamentare e perché il Parlamento è stato eletto
con una legge successivamente dichiarata (parzialmente) illegittima
costituzionalmente. Infatti, la Costituzione non richiede che i
ministri e il loro presidente siano parlamentari e Renzi non è il
primo presidente che non sia stato eletto nelle file dei deputati o
dei senatori. Poi, la Corte costituzionale, nel dichiarare
l’illegittimità di alcune norme della legge Calderoli, ha
precisato che la sentenza «non tocca in alcun modo il Parlamento in
carica», perché non ha «nessuna incidenza» su di esso.
Se
non è questo che può preoccupare, c’è qualcosa di più profondo
che possa far temere una svolta autoritaria ed evocare il «timore
del tiranno» che percorre tutta la storia dell’Italia
repubblicana? Per rispondere a questa domanda, bisogna valutare
almeno tre elementi: c’è qualcuno che insidia la democrazia,
prepara, politicamente e culturalmente, un governo autoritario? C’è,
al contrario, un diffuso patriottismo costituzionale, una dichiarata
e ampia lealtà alla Costituzione? Infine, ci sono i contropoteri,
gli anticorpi, che potrebbero far fronte a tentazioni
autoritarie?
Nei Paesi moderni come l’Italia non si può
conquistare il potere con la Carboneria o con altri mezzi nascosti:
occorre che qualcuno formuli un disegno politico, trovi un ideologo,
faccia propaganda, cerchi di conquistare consensi intorno a un
obiettivo che conduca a un potere autoritario.
Tutto questo non
si vede. Non vi sono centrali, azioni, cospirazioni, che segnalino la
presenza di questo pericolo.
Vedo, al contrario, anche presso
quelli che ritengono modificabile la Costituzione, una fedeltà ai
principi supremi costituzionali, una lealtà alle istituzioni e alle
procedure da essa create, un desiderio di non mutare le linee
portanti delle scelte del secondo dopoguerra, che fanno ben sperare
nella lunga vita della parte essenziale della Costituzione. Certo,
nel nostro Paese, fin dall’unificazione, vi sono state sacche di
ribellismo. Come notava Piero Gobetti nel 1922, c’è «l’esplodere
delle passioni, non l’organizzarsi delle iniziative». Prevale la
«disgregazione operosa». Riusciamo a fare il patto del Nazareno
(non scritto e appena rotto, dopo solo un anno), non «contratti di
coalizione», di cui l’ultimo è lungo 185 pagine e scaricabile dal
web, come quelli firmati dai cristianosociali e dai socialdemocratici
che reggono il governo tedesco da dieci anni.
Veniamo agli
anticorpi. Anche questi non mancano. Il potere è ampiamente
distribuito, all’interno dello Stato, sul territorio. Vi sono
poteri indipendenti, spesso tanto autonomi da voler dettare l’agenda
politica (come la magistratura), talora in ritirata, perché soggetti
a erosione di funzioni da parte della politica (come le autorità
indipendenti). Le polizie sono ben cinque. C’è l’Unione Europea,
che — a dispetto di quelli che piangono per le cessioni di
sovranità — ci garantisce con il «vincolo esterno» voluto da
Alcide De Gasperi e da Guido Carli.
Concludo: l’Italia è
forse un Paese che vuole non farsi governare, diviso in fazioni,
incapace di associarsi, coalizzarsi, trovare una armonia. Un Paese
che ha avuto 63 governi dall’inizio della Repubblica, con 27
presidenti del Consiglio, contro i 23 governi e gli 8 cancellieri
tedeschi. Ma la sua democrazia non corre pericoli .
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