FEDERICO FUBINI
La Repubblica 24 febbraio 2015
Certe volte un trauma aiuta ad aprire
gli occhi. Fino al 2009 le banche svizzere erano i peggiori nemici di
chi cercava di far rientrare il denaro dei contribuenti in Italia,
ora ne sono divenute gli alleati più preziosi. L’attacco del fisco
americano a Ubs e la chiusura forzata della banca Wegelin, la più
antica della Confederazione, hanno obbligato i gestori di fortune ad
arrendersi alla realtà: cooperare con gli evasori, oppure ospitare
in segreto patrimoni di origine criminale, ha un prezzo superiore ai
guadagni che garantisce.
Negli ultimi cinque anni vari banchieri
svizzeri sono stati arrestati durante le loro missioni negli Stati
Uniti e condannati a pene esemplari. Dopo la crisi finanziaria del
2008, per loro il costo della collusione è diventato
intollerabilmente alto. Di recente quasi tutti gli istituti elvetici
hanno iniziato a scrivere ai propri clienti più opachi, anche
italiani, invitandoli a ritirare i soldi e chiudere i conti. Ma né
le banche, né i titolari italiani dei depositi avevano messo in
conto il fenomeno che ha preso piede dall’inizio del 2015 nel
Canton Ticino e sta crescendo fino a diventare una sorta di epidemia
di panico. È il caso degli evasori in trappola: cittadini italiani
beneficiari di importanti patrimoni arenati nei conti svizzeri,
perché le banche rifiutano di restituirli ai proprietari. Tutt’al
più vengono loro permessi ritiri da poche migliaia di franchi,
mentre centinaia di conti multimilionari restano congelati.
Avvocati e commercialisti in Canton
Ticino stanno trovando una nuova fonte di reddito in queste
settimane, reclutati da centinaia di italiani disperatamente
impegnati a recuperare le proprie disponibilità. Non sarà facile.
Quei conti congelati sono l’esito della tripla manovra eseguita dal
governo di Roma: la trappola si è stretta per l’effetto congiunto
della voluntary disclosure sul rientro dei capitali, dell’accordo
sulla fine del segreto bancario svizzero e dell’introduzione dal
primo gennaio del reato di autoriciclaggio. Voluntary disclosure e
autoriciclaggio fanno parte di un unico pacchetto approvato l’anno
scorso. La disclosure («divulgazione spontanea») è un condono che
permette di rimpatriare somme importanti depositate all’estero e
mai denunciate, cancellando ogni addebito: la penale da versare al
fisco italiano può variare fra il 5% del totale per patrimoni più
antichi (e non più alimentati da tempo) a quasi il 90% per conti
recenti e oggetto di continui versamenti, provenienti dal crimine o
dall’evasione. Ma per chi non approfitta di questa opportunità, è
alto il rischio che scatti il reato di autoriciclaggio: basta
un’operazione sul patrimonio - un acquisto di titoli o di un
immobile, oppure una cessione ai figli - perché la pena arrivi a
otto anni di detenzione. Con la fine del segreto bancario elvetico,
da quando il fisco può individuare i titolari dei conti svizzeri,
questa è una minaccia concreta. Per la prima volta nella storia
d’Italia, il carcere per gli evasori può diventare realtà.
È questa la tripla mossa a tenaglia
che ora sta stringendo molti contribuenti italiani. Chi non vuole
affrontare la voluntary disclosure , perché la multa sarebbe troppo
alta, sta cercando di trasferire il proprio patrimonio verso altri
paradisi fiscali dove per ora resiste il segreto bancario: Panama,
Dubai, Doha o Singapore. Ma i banchieri ticinesi stanno rifiutando di
eseguire gli ordini di quei clienti, perché il reato di
autoriciclaggio è strutturato in modo tale che essi stessi
rischierebbero di finire sotto accusa. Per loro è legale trasferire
i fondi di questo tipo di clientela solo verso Paesi dove vige una
totale trasparenza dei conti: esattamente ciò che i depositanti non
vogliono. Per i banchieri svizzeri il solo modo per sottrarsi alle
accuse è rispondere all’ingiunzione di un giudice locale di
inviare somme a Dubai o Panama; non è un caso se in queste settimane
avvocati di clienti italiani lavorano assiduamente attorno ai
tribunali di Lugano o Chiasso.
C’è però un’altra opzione, per
gli italiani che intendono recuperare la disponibilità dei propri
conti: trasferirsi in Svizzera e diventare contribuenti elvetici.
Autoriciclaggio e voluntary disclosure rischiano di accelerare questa
tendenza. Per il Tesoro di Roma il costo sarebbe elevato: secondo
l’Istat oggi il 2,4% dei contribuenti più ricchi in Italia versa
il 26,4% di tutte le entrate dell’imposta sui redditi delle persone
fisiche. Circa 100mila mila persone garantiscono circa 40 miliardi di
Irpef: incoraggiarli a trasferirsi in Svizzera, per il governo, non
sarebbe il migliore degli affari possibili.
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