martedì 3 febbraio 2015

«Quei due amici così diversi, 
Sergio e mio padre Beniamino, 
uniti da ironia e buona politica».


Corriere della Sera 03/02/15
Francesco Alberti
L’uno vulcanico, capace di eruzioni improvvise. L’altro misurato, piccoli gesti e toni vellutati. Beniamino Andreatta e Sergio Mattarella. C’era una volta la Dc, miscela di intelligenze e culture, inesauribile campionario di umori e correnti, specchio di un Paese. Beniamino e Sergio. Difficile immaginare due tipi più diversi. «Mio padre aveva il gusto della provocazione, della ricerca della sorpresa. Mattarella è sempre stato persona riservata, meno comunicativo. In privato però le cose cambiavano, li univa un forte senso autoironico della vita, e poi gli studi, la politica, l’amore per le istituzioni e per le riforme di alta qualità…». Filippo Andreatta, 45 anni, ordinario di Scienza politica all’università di Bologna, era un giovane studioso alle prime armi quando suo padre Beniamino e Sergio Mattarella combatterono fianco a fianco una delle ultime loro battaglie politiche: «Partecipai al congresso del Ppi del ’94 che elesse Buttiglione segretario. La posta in palio era altissima: scomparsa la Dc, Berlusconi voleva fare un solo boccone dei cattolici. Ricordo che Mattarella sosteneva le ragioni dell’altro candidato, Nicola Mancino. La tensione si tagliava a fetta. Volavano colpi bassi. Rimasi colpito dall’eleganza e dalla compostezza di Mattarella, così lontano dalla spregiudicatezza tipica delle dispute congressuali…». Vinse Buttiglione e il futuro presidente della Repubblica lasciò la direzione del giornale di partito, Il Popolo , entrando poi a far parte del gruppo dirigente dell’Ulivo, forgiato dalla genialità di Andreatta e portato al governo da Prodi nel ’96.

Beniamino, Sergio e il terzo: Leopoldo Elia. «Un trio molto affiatato». Tutti e tre nell’Arel, pensatoio politico che ha sfornato tante intuizioni (e due presidenti della Repubblica: prima di quello attuale, toccò a Cossiga) e al quale «Mattarella — ricorda Andreatta — ha dedicato impegno e attenzione soprattutto da quando si ammalò mio padre». Con Elia, «persona di grande arguzia», era un attimo passare dalle dotte analisi sulle riforme istituzionali alla formazione della Pro Patria Calcio del ’29 snocciolata con la velocità di una mitragliatrice. Spesso si incrociarono i destini personali di Beniamino Andreatta e del futuro presidente della Repubblica. Come quando, caduto il primo governo Prodi, Mattarella divenne ministro della Difesa nei governi D’Alema Due e Amato e fu una sorta di staffetta con l’amico Beniamino: «Proseguì il lavoro avviato da mio padre nel primo governo dell’Ulivo, accelerando sul tema della difesa europea e occupandosi del delicato passaggio dal servizio di leva all’esercito di professione».

C’era una volta la sinistra dc, e forse non se n’è mai andata. «Mattarella — afferma Filippo Andreatta — rappresenta il meglio di quella tradizione. La sua elezione al Colle è una sorta di riconciliazione con una parte di storia nazionale da cui spesso vengono prese le distanze».

Gli avversari li bollavano come «cattocomunisti», gente che flirtava con il diavolo. «Giudizio assolutamente superficiale — afferma Andreatta —. Sui temi di fondo erano rigorosamente anticomunisti, ma nello stesso tempo ritenevano necessario coltivare il dialogo con l’altra parte. Ne è un esempio concreto il Mattarellum , legge elettorale che raccolse consensi trasversali, tenne unito il quadro politico e produsse alternanze, offrendo nel contempo una fotografia dei reali rapporti di forza grazie al 75% di maggioritario. Cosa che invece non avviene con l’Italicum, il cui premio trasforma una minoranza in maggioranza».




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