GOFFREDO DE MARCHIS
La Repubblica 22 febbraio 2015
Graziano Delrio Il sottosegretario alla
Presidenza del Consiglio: “Non vedo una guida solitaria. C’è un
leader e sono due cose differenti. Se la sinistra è spaventata dalla
leadership, ha un problema di modernità”
Il sottosegretario a Palazzo Chigi
Graziano Delrio risponde a Laura Boldrini che lamenta il totale
disinteresse del governo per i pareri del Parlamento sul Jobs Act e
accusa Renzi di essere un uomo solo al comando.
«Non esiste un uomo
solo al comando. Esiste un leader. Sono due cose differenti. Se la
sinistra, e parlo in generale, è spaventata dalla leadership ha un
problema di modernità ». Alla minoranza del Pd che annuncia
battaglia contro l’Italicum, dice: «Tutto è migliorabile, ma il
punto di equilibrio lo abbiamo già raggiunto con il testo votato in
Senato». E interviene anche sul partito per assicurare che non nasce
una corrente di catto-renziani «come area in cui l’appartenenza
conta più del pensiero». Possono nascere invece «luoghi di
riflessione leggeri, aperti, quasi disorganizzati per mantenere il
collegamento con la società».
A proposito di correnti, la Sinistra
dem vi accusa di non avere tenuto conto dei pareri parlamentari sui
licenziamenti collettivi, di aver seguito la linea della trojka. In
effetti tutti i deputati del Pd, senza distinzioni, vi avevano
chiesto di cambiare.
«Ormai l’impostazione era quella. E
si teneva con un equilibrio complessivo che per noi era l’unico a
garantire la vera efficacia del provvedimento».
La presidente della Camera Boldrini fa
capire che così avete umiliato il Parlamento.
«Abbiamo il massimo rispetto del
Parlamento, però non rovesciamo la frittata. Il parere non era
vincolante, non esisteva alcun obbligo di recepirlo. Il governo
quindi ha esercitato un suo pieno diritto ma senza volontà di
umiliare le Camere o i sindacati. Con quei decreti pensiamo di
aumentare complessivamente l’occupazione per la prima volta dopo
anni di perdita. Se ci sbagliamo siamo pronti a correggerci. Siamo
convinti tuttavia che attraverso il mix di misure del Jobs Act fra un
anno si vedranno dei risultati».
Non c’è invece la tendenza di Renzi
a procedere evitando il confronto, a recitare la parte dell’uomo
solo al comando come dice la stessa Boldrini?
«Non vedo l’uomo solo al comando.
C’è un leader e sono due cose differenti. Se la sinistra è
spaventata dalla leadership, e non mi riferisco alla Boldrini parlo
in generale, ha un problema di modernità. La sinistra ha bisogno di
un leader come lo hanno avuto i grandi partiti storici. Come lo erano
De Gasperi e Togliatti, Berlinguer e Moro. Eppoi Matteo non è solo.
Ha intorno a sé un gruppo dirigente molto ampio e molto rinnovato.
Nella squadra dei ministri, nei sindaci, sui territori. Qualcuno può
pensare che non sia all’altezza ma non che non esista».
Un team di fedelissimi?
«E’ libero di non credermi, ma Renzi
ascolta una quantità impressionante di persone del mondo del lavoro,
dell’impresa, della cultura. Lo fa ogni giorno, è una ginnastica
di ascolto che non si vede ma le garantisco, è costante, quotidiana.
Non sono fedelissimi».
Vi confronterete con la minoranza
sull’Italicum, cambiando i capolista bloccati e dando il premio
alla coalizione al ballottaggio?
«L’obiettivo del governo è una
buona legge elettorale e al Senato si è raggiunta un’intesa
giusta. Proviamo a fare un flash back. L’Italia, un anno fa, era il
Paese del caos, delle riforme bloccate, dell’instabilità. Un anno
dopo, secondo l’Ocse, siamo il Paese che ha fatto il maggior numero
di riforme strutturali e profonde. Eravamo gli osservati speciali
dodici mesi fa e ora siamo un Paese guida dell’Eurogruppo, che
aiuta a risolvere questioni enormi come la Grecia. Questa nostra
credibilità, conquistata anche con il lavoro straordinario del
Parlamento, non la manteniamo se si rimette tutto in discussione.
Ogni cosa è migliorabile ma in linea di massima, sulla legge
elettorale, il punto di equilibrio lo abbiamo già trovato».
Renzi non aveva promesso “mai più
correnti nel Pd”? Sembra che lei e altri ne stiate preparando più
di una.
«Con Matteo abbiamo sempre avuto
un’idea molto ampia del partito, come di un campo largo, mai
organizzato in settori o in correnti come quelle che si sono sempre
conosciute».
Cioè?
«Gruppi dirigenti attraverso cui
persone interessate trovano spazio e protagonismo solo perché
appartengono a un consesso organizzato. Luoghi difensivi di questo
genere non devono e non possono esistere nel Pd».
E allora?
«Allora, come avviene nella Cdu e in
tutti i grandi partiti europei, si possono creare non aree di potere
ma di pensiero. Le correnti vanno rottamate. Luoghi dove la società
e i parlamentari riflettono sulle sfide della modernità possono
invece avere un ruolo e offrire un contributo al partito».
Se non è zuppa è pan bagnato.
«Non è così. Io penso a iniziative
leggere, aperte in cui mai l’appartenenza deve sostituirsi al
pensiero. Penso al campo che crearono Moro e Dossetti. Certo non era
una corrente a caccia di poltrone ma di profondità e di un rapporto
con la vita quotidiana delle persone».
Questi movimenti intorno a Renzi non
segnalano uno scontro tra fedelissimi per chi siede alla destra del
capo?
«Non c’è nessuno scontro nel campo
renziano. Vogliamo semmai moltiplicare i contributi e moltiplicare il
protagonismo dei parlamentari, dei sindaci e degli amministratori
locali. Potrà capitare che qualche volta marceremo divisi per
colpire uniti, ma il rischio correntizio non esiste. Per me le
correnti sono la morte delle persone libere».
Sul suo cellulare il numero di Renzi è
sempre memorizzato come Mosè?
«Sempre. E la nostra Terra promessa è
quella dove c’è più lavoro, dove ci sono più occupati».
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