mercoledì 4 febbraio 2015

Rivalità e vecchi rancori 
Così la «ditta» degli ex Ds si è tagliata fuori dai giochi.


Corriere della Sera 04/02/15
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Questa volta hanno fatto tutto da soli. È vero che erano giorni che il premier andava dicendo: «Proporre un ex segretario dei Ds significherebbe aprire delle divisioni nei gruppi parlamentari del Pd. Dobbiamo scansare queste lotte fratricide, li conosco bene io... D’Alema contro Veltroni, Bersani contro Fassino...». 

Ma Renzi non ha dovuto insistere più di tanto per non mandare un esponente della sinistra al Quirinale e porre così fine a un’egemonia che era durata anni. È bastato un solo colloquio. Quello che ha avuto proprio con un ex Ds, ovverosia Bersani. Il suo predecessore alla segreteria pd non gli ha fatto nessun nome della ditta per il Quirinale. Non quello di Veltroni, che pure, alla fine, avrebbe potuto avere il via libera da Berlusconi grazie ai buoni uffici di Gianni Letta, e neanche quello di Piero Fassino. Ma nemmeno quello di Anna Finocchiaro, alla quale l’ex Cavaliere ieri si è rivolto con queste parole: «Facevamo il tifo per lei». Nessun nome di ex Ds è uscito dalla bocca di Bersani, che agli ex compagni del partito che fu ha preferito Giuliano Amato e Sergio Mattarella, dando, di fatto, il via libera definitivo all’operazione che Matteo Renzi aveva già in mente da qualche tempo e che, in questo modo, ha potuto mandare in porto senza lacerazioni nel Pd.

 È la prima volta da decenni che gli ex Ds perdono tutti i posti chiave. Non hanno più la segreteria del partito, non la presidenza del Consiglio. E ora che Napolitano se ne è andato e al suo posto è stato eletto Sergio Mattarella non hanno più nemmeno il Quirinale. E mentre prima mantenevano almeno un ruolo dietro le quinte ormai non hanno neppure quello. Il D’Alema «deus ex machina» è un ricordo di altri tempi. Per dirla con Franco Marini, che ultimamente ama spesso ripetere questa frase: «Da quando non ci sono più i Ds di un tempo non c’è più partita tra personalità come Renzi e, che ne so, un Cuperlo». Secondo l’ex presidente del Senato la «cultura classica della sinistra avrebbe bisogno di una rivisitazione, come minimo». Lo ha detto al «Messaggero» l’altro ieri. E non è l’unico a pensarlo.

 Già, perché a leccarsi le ferite per l’esito della partita quirinalizia non ci sono solo Alfano e Berlusconi. Loro sono gli sconfitti conclamati. Gli ex Ds, invece, formalmente, hanno vinto questa partita, ma, in realtà, hanno perso altro terreno e arrancano a fatica dietro un segretario-premier la cui cultura è anni luce lontana dalla loro.

 L’altro giorno, nell’aula di Montecitorio, mentre si votava per il capo dello Stato, i democratici di rito ds venivano bonariamente presi in giro dai colleghi degli altri gruppi per questa ragione. Ed Enzo Amendola, ex dalemiano, membro della segreteria dotato di una buona dose di autoironia partenopea, commentava: «Tra un po’ in quanto ex ds mi metteranno in una teca». Sorridente anche lui, per una volta tanto, Enrico Letta, uno che del premier ormai ha capito le mosse e le contromosse, scherzando si rivolgeva così ai compagni di partito: «Eppure lo conoscevate». Come a dire: di che vi lamentate?

 E in effetti gli ex Ds hanno ben poco da lamentarsi. Bastava che Bersani, Fassino, D’Alema e Veltroni si vedessero tutti e quattro insieme per non far fallire (forse) la ditta. Ma le avversioni reciproche hanno avuto la meglio. E ora, invece di assistere, come da inossidabile copione, agli scontri tra ex Ds, si vedono guerreggiare gli ex Ppi: i fautori di Mattarella, come Delrio, Guerini, Rughetti e Fioroni contro Franceschini e tutti gli altri ex popolari che sostenevano invece Amato. I tempi sono veramente cambiati.

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