Corriere della Sera 25/02/15
Sabino Cassese
I governi nazionali negoziano in
continuazione a Bruxelles. I parlamenti hanno proprie sedi di
consultazione a livello europeo. Le burocrazie nazionali si
incontrano periodicamente nei numerosi comitati dell’Unione. Le
corti nazionali, specialmente quelle di vertice, sono, invece,
organismi solitari. Sono guardiane delle costituzioni nazionali e non
possono certamente concordare con altre corti le loro decisioni. Ma
che cosa succede se si mettono a difendere il proprio backyard , il
proprio orticello, come ha notato, criticando una recente ma isolata
decisione della Corte costituzionale italiana, Antonio Baldassarre,
che quella corte ha presieduto alcuni anni fa? E che cosa accade se
una corte come quella costituzionale tedesca si distingue in questo
ruolodi difensore dell’interesse nazionale (per esempio, di
recente, nel caso dell’Omt, Outright Monetary Transactions, misure
non convenzionali della Banca centrale europea)?
Rispondere a
questa domanda è importante, perché le corti costituzionali hanno
sempre l’ultima parola, perché esse possono tirare la corda e
creare spaccature all’interno dei sistemi giuridici nazionali, e
perché, se esse vanno in direzioni opposte, finiscono per dare
all’Unione Europea un vestito d’Arlecchino.
Semplificando,
il filo del discorso che da qualche anno la corte tedesca sta
svolgendo è il seguente. Gli Stati nazionali sono i «signori dei
trattati europei», come i condomini lo sono di un condominio.
L’Unione ha solo i compiti a essa trasferiti dai suoi «padroni»,
gli Stati.
Nello Stato tedesco, solo il Parlamento può
conferire funzioni statali al livello sopranazionale, perché solo
esso garantisce il rispetto della volontà popolare e dell’identità
nazionale. Ogni passo avanti dell’Unione, ogni suo impegno, deve
essere autorizzato dal Parlamento.
Queste motivazioni, svolte
con ricchezza di sottili ragionamenti giuridici, producono tre
effetti. Annullano le forze endogene di sviluppo dell’Unione,
negandone l’esistenza, oppure condizionano tale sviluppo. Mettono
al guinzaglio tedesco (e degli altri Paesi che intendano seguire la
stessa strada) tutti i passi avanti dell’Unione. Creano uno
squilibrio tra Stati più filo-europei e Stati più guardinghi o
addirittura restii a operare «cessioni di sovranità».
Altri
Paesi sono più filo-europei, e tra questi è l’Italia. Se si
esclude la decisione criticata dall’ex presidente della Corte, le
corti supreme italiane hanno assunto un atteggiamento più aperto
rispetto al diritto europeo e al diritto internazionale. Non si
chiedono quali limiti discendono dalla Costituzione nazionale per il
diritto europeo, ma, al contrario, quali vincoli europei il diritto e
le corti nazionali debbono rispettare.
Neanche noi siamo immuni
da difetti. Anche le corti italiane, più orientate ad aprire le
porte del diritto nazionale a quello europeo, creano dei problemi.
Infatti, il loro atteggiamento fa risaltare la debolezza degli
adempimenti comunitari da parte dell’esecutivo. È noto che
l’Italia è tanto pronta a dichiarare di volersi adeguare alle
direttive e ai regolamenti comunitari, quanto lenta nell’applicarli.
Ed è noto che il balletto dei governi rende la nostra presenza a
Bruxelles sempre precaria (qualche giorno fa, uno dei più alti
funzionari dello Stato italiano ha dichiarato che in cinque anni
aveva accompagnato nella capitale europea cinque diversi ministri
italiani, mentre quelli dei nostri partner sono rimasti gli
stessi).
L’atteggiamento tedesco, per la cura con cui è
motivato, per la sua costanza, per il peso che quel Paese ha in
Europa, pone, tuttavia, un interrogativo di fondo, che riguarda
l’esistenza stessa dell’Unione e la sua essenza. Gli Stati
nazionali non hanno conferito all’Unione soltanto compiti che
questa deve ordinatamente svolgere come un mero esecutore. Hanno
anche sottoscritto un patto con il quale, consentendo l’elezione
diretta del Parlamento europeo, hanno permesso lo stabilirsi di un
rapporto diretto tra questo e i cittadini di ciascuna nazione. Hanno
creato, in altre parole, un motore, hanno stabilito una diversa
legittimazione, un potere che può disporre regole eguali per tutti i
Paesi. Se ognuno degli Stati europei interpreta in modi diversi i
vincoli che derivano dai trattati, allunga o accorcia a suo
piacimento il guinzaglio che lega l’Unione agli Stati, non si
pongono in dubbio le premesse stesse su cui è fondato il
«condominio» europeo?
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