Corriere della Sera 22/02/15
Claudio Del Frate
Sostiene il ministro dell’Economia
Carlo Padoan che l’accordo in procinto di essere firmato tra Italia
e Svizzera segnerà la fine definitiva del segreto bancario svizzero.
A Berna usano termini meno perentori, vuoi perché devono fare i
conti con un’opinione pubblica interna non felicissima di vedere
crollare la storica barriera, vuoi perché contano comunque sul fatto
che, segreto o no, la piazza finanziaria svizzera continuerà a
essere una delle più ambite al mondo. Ma la svolta c’è tutta:
domani a Milano Padoan e la sua omologa elvetica Eveline
Widmer-Schlumpf porranno la firma sull’accordo fiscale costato tre
anni di aspre trattative tra i due governi.
L’accordo di
Milano è molto articolato ma sono individuabili due punti
fondamentali. Il primo: i due Stati potranno scambiarsi molto più
speditamente informazioni in campo bancario e fiscale.
Fino a
oggi per sapere se Tizio o Caio avevano soldi su conti di Lugano era
necessaria una rogatoria internazionale motivata dal fatto che si
poteva essere in presenza di qualche reato. Grazie al nuovo accordo
l’Agenzia delle Entrate italiana potrà chiedere direttamente agli
svizzeri informazioni su tutti i contribuenti; a partire dal 2017 lo
scambio dei dati sarà automatico, senza più nemmeno la
sollecitazione del Fisco italiano. Seconda novità: la Svizzera potrà
uscire dalla cosiddetta «black list» dei paradisi fiscali; in
seguito a ciò gli italiani che aderiranno alla voluntary disclosure
(dichiarare cioè spontaneamente di avere un conto in Svizzera)
pagheranno sanzioni dimezzate. Anche l’economia elvetica avrà il
suo tornaconto: cancellate dalla «black list», le imprese e le
banche incontreranno meno barriere per entrare sul mercato italiano.
È davvero la fine di un’epoca? In buona parte è difficile dare
torto a Padoan. L’origine del segreto bancario elvetico viene fatta
risalire addirittura al ‘600, quando i re di Francia, cattolici a
sempre assetati di soldi, trovavano comodo farsi finanziare anche da
ricchi protestanti. Purché non si sapesse in giro e in questo caso
la riservatezza era garantita dai banchieri ginevrini. Il segreto
viene però codificato da una legge del 1934 figlia di un drammatico
fatto storico: la crisi del ‘29 aveva trasformato la Svizzera nel
rifugio di molti capitali in fuga e Berna aveva ritenuto opportuno
equiparare la privacy delle banche a quella di medici e
avvocati.
Quello scudo impenetrabile da allora ha subito
continui attacchi etici, a partire dai primi anni del Dopoguerra,
quando si scoprì che nelle banche della Confederazione erano
custoditi i beni sottratti agli ebrei vittime delle persecuzioni
naziste. L’Italia ha sempre approfittato a piene mani
dell’ospitalità elvetica: uno studio di Kpmg stima che oggi si
trovino a nord di Chiasso 220 miliardi di euro provenienti
dall’Italia, stessa cifra appartenente ai contribuenti
tedeschi.
Ma né la fine del segreto bancario né lo choc
valutario del super franco sembrano aver tolto alla Svizzera l’appeal
di paradiso per chi ha i soldi: nel 2014 le società anonime sulla
piazza di Lugano sono cresciute del 10%.
Nessun commento:
Posta un commento