Corriere della Sera 07/02/15
corriere.it
Fra le molte titubanze e i segnali
contradditori degli ultimi mesi, Raffaele Cantone considera il nuovo
testo della legge anticorruzione un passo avanti. «Il mio giudizio è
molto positivo. Hanno accolto quasi tutte le nostre osservazioni,
soprattutto la più importante. Cioè che il falso in bilancio
dev’essere perseguito d’ufficio. Vedo che finalmente vengono
introdotti sconti di pena per chi collabora e si ampliano alcune
ipotesi di pene accessorie, per esempio l’incapacità di
contrattare con la pubblica amministrazione».
La perfezione,
aggiunge il presidente dell’Autorità anticorruzione, si sarebbe
raggiunta se ci avessero infilato dentro anche le proposte di
equiparare le intercettazioni in materia di corruzione a quelle per
la criminalità organizzata e di intervenire sui termini di
prescrizione. «Ma capisco certe perplessità a proposito del rischio
di un uso non appropriato delle intercettazioni. Mentre sulla
prescrizione il ministro Andrea Orlando è dell’idea di affrontare
il problema integralmente senza intervenire con provvedimenti
specifici per ogni singolo reato, e mi pare corretto», dice Cantone.
Però si capisce che non considera ancora compiuto il salto culturale
che può spostare una volta per tutte il rapporto di forze nella
guerra alla corruzione.
Lo ripete ogni volta che può. Sostiene
che la madre di tutte le battaglie è quella sulla trasparenza. Una
lotta che considera se possibile ancora più difficile, e per certi
versi perfino più rischiosa, rispetto ai tanti fronti che ha dovuto
aprire da quando è arrivato: a partire dai cantieri dell’Expo 2015
per arrivare a Mafia Capitale.
Gli interessi in gioco, fa capire
Cantone, sono enormi. Interessi della burocrazia, che come scriveva
Max Weber oltre cent’anni fa, «si adopera per rafforzare la
superiorità della sua posizione mantenendo segrete le sue
informazioni e le sue intenzioni». Come pure interessi dei poteri
che con quella burocrazia intrattengono rapporti capaci di
influenzare la propria forza economica. Ma imporre che incarichi,
consulenze, retribuzioni, situazioni patrimoniali di chi gestisce la
cosa pubblica, e poi delibere e singole spese di ogni amministrazione
vengano pubblicate online in modo chiaro e accessibile non è
semplice. E anche se negli ultimi anni il Parlamento ha finalmente
approvato le leggi che lo prescrivono, farle applicare seriamente è
un altro paio di maniche.
Prova ne sia il ruvido confronto
apertosi con gli ordini professionali da tre mesi. Tutto è
cominciato quando l’Autorità ha approvato una delibera che ai fini
degli obblighi di trasparenza ne stabilisce l’equiparazione agli
enti pubblici. Esattamente come tutte le società a partecipazione
pubblica, dalla Rai alle municipalizzate, le aziende, i consorzi, le
università...
Con tutto ciò che ne consegue, compresa la
pubblicazione sui siti Internet di consulenze e stato patrimoniale
degli organi di vertice.
Un’offensiva da far tremare le vene
ai polsi, a giudicare dalla forza d’urto sul piano politico degli
ordini professionali, potentissimi attrattori di consenso e poderosi
serbatoi di voti. Ha ricordato Elena Ciccarello sul Fatto Quotidiano
che secondo il Movimento 5 Stelle appartiene a una corporazione il 45
per cento degli eletti in un Parlamento pur largamente rinnovato.
Dove comunque siedono anche alcuni esponenti di spicco delle
categorie professionali. In Senato ce ne sono ben quattro per i
quali, in base all’interpretazione che L’Autorità anticorruzione
ha dato della legge Severino, si applica l’incompatibilità con gli
incarichi politici. Tagliola che Cantone è determinato a far
scattare quanto prima, con il risultato che i quattro dovrebbero
dimettersi dal Parlamento o dagli incarichi negli ordini.
Uno di
loro, il presidente dell’Ordine dei medici di Torino Amedeo Bianco,
senatore del Partito democratico, ha già annunciato che si adeguerà
alle disposizioni. Il problema riguarda perciò gli altri tre. Il
primo è il presidente della Federazione degli ordini dei farmacisti
Andrea Mandelli, di Forza Italia. A sostenere l’inapplicabilità
della tagliola al suo caso, in quanto non titolare di deleghe
operative in seno alla corporazione, è stato presentato in
commissione parlamentare nientemeno che un parere del giudice
costituzionale Sabino Cassese. Terzo autorevolissimo esponente della
Consulta a intervenire sulla questione: prima di lui gli ex
presidenti Giovanni Maria Flick, che aveva curato il ricorso degli
avvocati, e Piero Alberto Capotosti, che aveva scritto per conto
degli ordini un parere non accolto dall’Authority argomentando la
non assoggettabilità degli ordini alle norme della Severino.
Con
lo stesso partito di Mandelli è entrato in Senato anche il
presidente dell’ordine dei farmacisti di Bari Luigi D’Ambrosio
Lettieri. Il quale è pure il vice di Mandelli nel comitato centrale
della Federazione, dove troviamo l’ex europarlamentare di Forza
Italia Giacomo Leopardi e il consigliere regionale piemontese Mario
Giaccone, sostenitore di Chiamparino. Cosicché un terzo di
quell’organismo è composto di politici.
Dettagli che fanno
apprezzare la profondità del rapporto fra le lobby professionali e
la politica. Destra o sinistra? Poco importa. Del gruppo Pd del
Senato fa parte Annalisa Silvestro, presidente della Federazione
degli infermieri che fa parte anche del Cup: è il Comitato unitario
professioni, il sindacato degli ordini che tratta con il governo e ha
un tavolo aperto anche con Cantone. E tornando alla trasparenza, è
sicuramente colpa nostra: ma nonostante gli sforzi non siamo riusciti
a trovare nel sito internet del Cup neppure i nomi dei suoi
componenti. Abbiamo visto solo quello della presidente Marina Elvira
Calderone, dei Consulenti del lavoro.
Nessun commento:
Posta un commento