Corriere della Sera 04/02/15
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Qual è il vero Renzi? Quello che di
mattina parla con Alfano per ricomporre lo «strappo Quirinale»?
Quello che a detta di autorevoli ministri del Pd propone all’alleato
di governo un’agenda programmatica «a medio termine» e non gli
mette pressione sulle scelte per le Regionali? O quello che di sera —
a favore di telecamera — insiste a bacchettare i «partitini»,
mandando in bestia i dirigenti di Ncd? Qual è il vero Renzi? Quello
che minaccia politicamente Berlusconi, prefigurando la sua
emarginazione se Forza Italia dovesse rompere il patto del Nazareno
sulle riforme? O quello che ammicca il fondatore del Biscione,
annunciando un passo indietro di Palazzo Chigi sull’affaire
Telecom-Mediaset per lasciare libertà d’azione al mercato?
Il
vero Renzi è il doppio Renzi, quello che ritiene di non aver rivali
nel Palazzo e di far presa nel Paese, perché grazie al «bazooka»
di Draghi, l’euro competitivo per le esportazioni e un filo di
ripresa, il «treno Italia presto ripartirà». E lui è oggi l’unico
a viaggiare in prima con un posto finestrino: gli altri, l’alleato
di maggioranza e l’alleato di opposizione devono arrangiarsi. La
strategia del leader pd — applicata anche per il Quirinale — non
cambia: l’obiettivo è continuare a tener divisi i due tronconi
dell’ex Pdl. E con Renzi che per un verso presidia il centro e per
un altro assorbe la sinistra, la destra è sospinta verso l’estrema,
nelle braccia di Salvini.
È vero, le Regionali potrebbero
essere l’occasione per ripristinare i rapporti tra Forza Italia e
Area popolare, e infatti Lupi dice che «il dialogo tra noi
continuerà». Ma la spaccatura verticale nel partito berlusconiano e
la bufera che si è scatenata nel fronte alfaniano dopo l’elezione
di Mattarella al Colle, rendono complicata l’operazione. Anche
perché il leader della Lega — in modo speculare a Renzi — si
muove per impedire che si strutturi un blocco capace di mettere il
Carroccio di nuovo al traino. «A Salvini ci penso io», aveva
spiegato Berlusconi al suo ex delfino quando s’incontrarono. Ma
Salvini si muove rapidamente, e l’idea di accomunare la
manifestazione di Roma con Fratelli d’Italia all’inizio di marzo
conferma che il capo del Carroccio non lavora all’intesa con i
vecchi alleati: mira ad annichilirli, con una linea «anti Renzi» e
«anti Nazareno».
Il punto è se il segretario della Lega vorrà
spingersi fino alle estreme conseguenze, se cioè sarà disposto a
rischiare una sconfitta alle Regionali sull’altare del progetto
nazionale. Perché in Veneto il suo governatore uscente Zaia non
sembra voler fare a meno degli alleati tradizionali. E in Forza
Italia, autorevoli dirigenti avvisano che «se noi facessimo un
accordo con Ncd per tutte le regioni e la Lega si rifiutasse, allora
correremmo da soli». C’è del vero o è solo una minaccia? E
soprattutto, Berlusconi concorda con la linea di rottura che
sancirebbe di fatto la nascita di un «blocco popolare» in
competizione con quello leghista? Quella battuta, quel «ci penso io
con Salvini», non sembra farlo presagire. E al momento mancano le
condizioni per una rinnovata intesa che vada da Ncd al Carroccio,
nonostante i sondaggisti concordino sul fatto che la maggioranza
degli elettori dell’ex centrodestra — compresi quelli della Lega
— la vorrebbe. Il fossato è profondo. Come non bastasse, Renzi sta
cercando di accentuarlo, mettendo Area popolare davanti a un bivio
alla vigilia delle Regionali: cos’è quell’idea di arrivare «fino
al 2018 con Alfano», se non la riproposizione dello schema con cui
tenere diviso ciò che prima era unito? Oggi — anche in caso di
riunificazione del centrodestra — una sua vittoria alle prossime
elezioni politiche sembrerebbe scontata. Ma di qui all’appuntamento
con le urne, cioè fra almeno due anni a meno di clamorose sorprese,
Renzi vuol viaggiare senza problemi (e da solo) in prima. Anche
perché è proprio grazie a questa strategia che immagina di tenere a
bada anche la sinistra del suo partito, che dopo l’ascesa al soglio
repubblicano di Mattarella non intende fermarsi, e prova a dare un
altro colpo di piccone al patto del Nazareno: sull’impianto della
riforma costituzionale, sulla legge elettorale e sulla delega fiscale
che contiene la famosa norma «salva Berlusconi».
Renzi ne è
consapevole, e c’è un motivo se ieri a Porta a Porta — dopo aver
rilanciato la «maggioranza per il governo» — ha detto che
«l’Italicum non si tocca»: il premier torna a farsi scudo della
«maggioranza per le riforme» per non farsi catturare dalla
«maggioranza per il Quirinale». E in più si fa campione della
sinistra, schierandosi con Tsipras alla testa di una sorta di
movimento per i diritti politici ed economici di una nuova Europa.
Qual è il vero Renzi? Tutti e due. Anzi, tutti e tre. E nessuno
riesce ad afferrarlo. Per ora.
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