Corriere della Sera 17/02/15
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Ambasciatore, l’Egitto ha bombardato
le postazioni dell’Isis in Libia dopo la decapitazione di 21 vostri
cittadini. Che cosa è pronto a fare il suo Paese?
«Stiamo
portando la questione al Consiglio di Sicurezza dell’Onu — dice
al Corriere l’ambasciatore egiziano a Roma Amr Helmy — non è una
questione che riguarda solo l’Egitto: il Consiglio di sicurezza
deve assumersi le sue responsabilità. L’Isis è a poche centinaia
di chilometri da Roma, questa situazione deve essere presa più
seriamente. Non basta attaccare in Siria e in Iraq, l’Isis in Libia
è una minaccia imminente. Il nostro ministro degli Esteri è andato
a New York, c’è la sensazione che ci sarà un consenso
internazionale…».
Cosa sperate di ottenere dal Consiglio di
sicurezza?
«Si può creare una coalizione internazionale, una
forza di intervento. Ci sono bombardamenti contro l’Isis in Siria e
in Iraq, si può intervenire in Libia. Il paese è un totale
fallimento».
La Giordania e gli Emirati avevano sospeso i
bombardamenti contro l’Isis in Iraq e Siria a dicembre, li hanno
ripresi da poco. E per la prima volta che l’Egitto dice di aver
partecipato in Libia. I cittadini arabi sono tra le prime vittime:
gli stati arabi non dovrebbero fare di più?
«È stato a dicembre,
quella è storia ormai. Le cose stanno cambiando, e poi ci sono
problemi logistici e militari da considerare. Noi siamo membri della
coalizione internazionale contro l’Isis, ma non ci si può
aspettare che partecipiamo alle operazioni militari in Iraq e Siria
mentre i nostri confini con la Libia non sono sicuri e c’è
un’emergenza nel Nord del Sinai. Ci sono abbastanza Paesi coinvolti
in Iraq e Siria».
L’Egitto dunque manderebbe i propri aerei
in Libia? E manderebbe anche soldati sul campo?
«Aerei magari sì
come parte di una coalizione, ma truppe di terra non so, bisogna
aspettare che le decisioni vengano prese… Non penso che manderemo
mai truppe di terra e di occupazione, mentre potrebbero esserci delle
operazioni aeree limitate contro target ben definiti. Ma i
bombardamenti non bastano. Potrebbero essere necessari una forza di
peacekeeping, rifugi sicuri per le minoranze, un corridoio umanitario
per i civili che lasciano il Paese… Va considerata una combinazione
di missioni. E se vogliamo essere sinceri, bisogna porre fine al
sostegno militare ma anche finanziario per questi gruppi, e sappiamo
tutti chi li sta appoggiando con la logistica e i soldi».
La
decapitazione dei vostri cittadini ha segnato una svolta per
l’Egitto, come in Giordania l’uccisione del pilota?
«È stato
anche peggio: una carneficina a sangue freddo. Non ci era mai
capitato nella nostra storia. Siamo sotto choc. Quel che hanno fatto
è ancor peggio che uccidere un pilota: queste erano persone
qualunque: falegnami, tecnici, non avevano fatto nulla se non essere
copti. Questi fondamentalisti sono contro di voi ma anche contro di
noi».
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