Corriere della Sera 01/02/15
Maria Teresa Meli
Francesco Verderami
Gli esami non finiscono mai. E dopo
aver superato la prova del Colle, Renzi è atteso alla prova del
governo.
Perciò il premier si prepara ad aprire con Alfano la fase
del «chiarimento», che considera «indispensabile» in vista del
bivio delle regionali di primavera: vuole formalmente sapere da quale
parte sceglierà di stare il leader di Ncd, che è anche il suo
ministro dell’Interno. Non è questione di rapporti personali, né
basta tener coperto il problema — come fa il leader pd —
sostenendo che lo scontro con «Angelino» sul sostegno all’elezione
di Mattarella «l’ho già dimenticato». Certo servirà del tempo
prima di affrontare la questione, perché — al di là delle
smentite postume di Renzi — lo scontro c’è stato. Ieri
Alfano l’ha indirettamente confermato, riferendosi a Renzi con una
battuta che evocava l’antica doppiezza togliattiana: «Sul
Quirinale pensavo discutere con il presidente del Consiglio e invece
avevo davanti il segretario del Pd».
Ma il nodo è politico, e
ruota attorno a un interrogativo: questo governo è ancora da
considerarsi un «esecutivo di emergenza nazionale» come lo
definisce Alfano, oppure è un «governo di legislatura» come
sostiene Renzi? Traduzione: l’accordo ricalca ancora lo schema
delle «larghe intese» tra forze che alle elezioni saranno
avversarie, o si tramuterà in un’alleanza da proporre poi alle
urne? Non c’è molto tempo per sciogliere il nodo, perché le
Regionali sono alle porte, e il leader del Pd vuole capire se Alfano
sarà dalla sua parte in test importanti come la Campania e il
Veneto, dove Ncd sembra intenzionata ad allearsi con Forza Italia. È
chiaro che in tal caso molte cose cambierebbero nel governo, tanto
che nel Pd c’è già chi minaccia che «cambierebbe il
governo».
Ma nel «chiarimento» che Renzi si appresta a
chiedere ad Alfano, anche il capo democrat dovrà chiarire se ha in
testa una prospettiva di accordo politico, anche se all’appuntamento
ci arriverà avendo dalla sua i rapporti di forza e l’arma del le
elezioni anticipate, «che ad Alfano e alla sua compagine
ministeriale non convengono». Tuttavia anche il premier ha bisogno
di Alfano per ripristinare al più presto la «maggioranza di
governo» e sganciarsi dalla «maggioranza per il Colle», quella che
gli ha consentito di far eleggere Mattarella ma che è fondata sugli
avversari delle sue stesse riforme.
E la minoranza democratica
non si accontenta del risultato ottenuto ieri, se è vero che Epifani
già dice che «ora si può ripartire con un nuovo slancio sui temi
del lavoro e dell’equità fiscale», e Bersani ripete che «Renzi
non può pensare di aver chiuso la pratica. Alla Camera vorremo
migliorare la legge elettorale»: come dire che — dopo aver dato
una «piccola botta» al patto del Nazareno — ora si punta al
bersaglio grosso. Insomma, il rischio per il premier è di ritrovarsi
davanti all’incrocio pericoloso delle «tre maggioranze» che ha
costruito. E dunque Alfano per il governo, come Berlusconi per le
riforme, rimangono interlocutori essenziali. E non c’è dubbio che
al «chiarimento» il ministro dell’Interno arriverà in condizioni
a dir poco difficili, con un partito diviso sulla scelta strategica,
con il capogruppo del Senato Sacconi che si è dimesso dall’incarico,
con il capogruppo della Camera De Girolamo che chiede una «verifica
interna», con un pezzo dello stato maggiore che lo pressa perché
decida se restare al Viminale o dedicarsi esclusivamente al partito.
E dopo che undici senatori di Ncd — nel bel mezzo della trattativa
sul Colle — hanno inviato un segnale al presidente del Consiglio
per fargli sapere anzitempo da che parte stavano. La sua.
È un
segnale che Renzi potrebbe disporre a palazzo Madama di una «ruota
di scorta» con cui sostituire Alfano? In teoria è possibile, vista
anche l’emorragia dei grillini. A detta del ministro Lupi, però,
«per stare a palazzo Chigi il premier non può permettersi una
riedizione del gruppo dei Responsabili, non può farsi vedere con una
schiera di Scilipoti al fianco. Ha bisogno di una forza politica».
Non c’è dubbio che il capo dei democratici si trovi in una
posizione dominante, ma la gestione delle «tre maggioranze» non
sarà facile e il cambiamento di equilibri potrebbe compromettere i
suoi disegni.
Così Renzi e Alfano arriveranno all’incontro
del «chiarimento», conoscendo ognuno i punti forti e deboli
dell’altro. E la discussione sulle Regionali sarà il bivio
decisivo. Il leader di Ncd sembra orientato ad allearsi con
Berlusconi, ma il dialogo si è da poco riavviato perché si possa
già parlare di un progetto. Renzi lo sa, come sa che il fondatore di
Forza Italia — alle prese con un partito dilaniato — ha ancora
bisogno del Patto del Nazareno: ne è talmente certo da dargli il
«consiglio» di sbarazzarsi di quanti attorno a lui «hanno uno
spirito poco costruttivo». Come con Alfano, al premier servirà del
tempo per ripristinare le relazioni con Berlusconi. E non è detto
che i rapporti saranno gli stessi di prima, se è vero che
Mariarosaria Rossi — considerata del cerchio magico berlusconiano —
ha aperto un processo contro «il duo tragico», cioè Verdini e
Gianni Letta, autori della trattativa con il premier.
Il giorno
dell’ascesa di Mattarella al Quirinale è anche il giorno della
caduta degli dei nel centrodestra. E per una volta anche Berlusconi
non si esime da colpe nella gestione della vertenza, anche se non può
darlo a vedere. Il punto è che per alleati e avversari del premier
la botta subita è ancora calda. L’elezione del successore di
Napolitano ha prodotto un effetto stordente persino nel Pd. Con la
sua «narrazione» sul nuovo capo dello Stato, Renzi è stato capace
persino di far dimenticare un episodio che richiama a un’antica
ferita, mai del tutto rimarginata nel centrosinistra: al famoso
«governo del complotto», con cui D’Alema — insieme a Mattarella
nel ruolo di vice premier — si sostituì all’inventore dell’Ulivo
a palazzo Chigi. «Già, nessuno lo ha ricordato in questi»,
sussurrava il prodiano Monaco alla vigilia della festa.
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