Corriere della Sera 19/02/15
Cesare Giuzzi
Milano «Uno di meno. Che sicuramente
non avrebbe scontato la pena per intero, ci sarebbe costato parecchi
denari e che all’uscita avrebbe creato di nuovo problemi. Spero che
abbia sofferto. Tre metri quadri a disposizione per qualcun
altro...». Domenica, ore 12.02. Sono passati meno di due giorni da
quando, alle 22.10 di venerdì scorso, Ioan Gabriel Barbuta, romeno
di 39 anni, si è impiccato usando i pantaloni di una tuta nella sua
cella del carcere di Opera (Milano). Barbuta era stato condannato
all’ergastolo per l’omicidio del vicino di casa, Guerrino
Bissacco, ucciso e bruciato a Due Carrare (Padova) il 6 giugno di
otto anni fa.
La notizia del suicidio viene diffusa dal
segretario generale del sindacato Sappe, Donato Capece: «Purtroppo,
nonostante il costante lavoro svolto dagli agenti, non si è riusciti
a evitare il suicidio». Le parole del sindacalista stridono,
enormemente, con quanto poche ore dopo affermano in Rete alcuni suoi
colleghi. Perché è sui social network che si scatena la rabbia (e
l’idiozia) di alcuni agenti che «commentano» la notizia del
suicidio attraverso la pagina Facebook del sindacato Alsippe
(Alleanza sindacale polizia penitenziaria). Tanto che, dopo che il
caso è esploso scatenando l’indignazione della Rete, ieri il
ministro della Giustizia Andrea Orlando ha convocato il capo del
dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Santi Consolo.
Mentre lo stesso Dap ha aperto un’inchiesta per «individuare i
responsabili» e valutare azioni disciplinari, come assicura il
vicedirettore Luigi Pagano.
I commenti sulla pagina Facebook
dell’Alsippe sono stati eliminati alcune ore dopo, ma la loro
traccia non è scomparsa: «Un rumeno in meno»; «Scommettiamo che
il giudice metterà sotto inchiesta chi era in servizio?»; «Mettere
a disposizione più corde...»; «-1»; «Questo passo dovrebbero
farlo in tanti»; «Ottimo, speriamo abbia sofferto». Ai commenti si
sono aggiunti i «mi piace», quasi a innescare una gara di cinismo.
Qualcuno ha tentato di riportare la calma e la ragione: «Comprendo i
disagi gravi del vostro lavoro, ma la morte non si augura a nessuno».
L’esito è fallimentare: «Lavora tu in un istituto poi vedrai. Per
questo mestiere devi avere core nero ». Quasi tutti i commentatori
sono agenti in servizio nelle carceri di mezza Italia. Coloro ai
quali lo Stato ha dato «in custodia le persone private della
libertà».
Dal punto di vista numerico la sigla dell’Alleanza
sindacale rappresenta una assoluta minoranza degli agenti. I primi a
prendere le distanze sono gli altri sindacati (certamente più
rappresentativi) di polizia penitenziaria: «Parole che umiliano il
nostro lavoro e i nostri sforzi». Tra i seicento agenti in servizio
nel supercarcere di Opera, nessuno o quasi fa riferimento
all’Alsippe: «Mi auguro che chi ha fatto questi commenti non
indossi mai più una divisa — dice amareggiato il direttore del
penitenziario, Giacinto Siciliano —. Questa vicenda è un’offesa
per noi e per la famiglia della vittima. Facciamo sforzi enormi per
evitare i suicidi in cella».
Dal coro di indignati (dalle
associazioni per il reinserimento dei detenuti fino a deputati e
senatori) il solo distinguo arriva dal leghista Matteo Salvini:
«Conoscendo quali sono le condizioni in cui lavorano gli agenti non
dico che giustifico, ma capisco».
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