MICHELE SERRA
La Repubblica 1/2/2015
Inevitabile che la Panda grigia di
Sergio Mattarella che sfila fino alle Fosse Ardeatine, ultimo gesto
privato e insieme primo gesto pubblico del nuovo presidente, si
imprima nella retina del pubblico, vasto o meno vasto, che ancora
guarda a Roma non come a un enorme detrito o a un incomprensibile
groviglio di cinismo e di intrallazzi, ma come alla capitale del
paese.
L’utilitaria grigia di famiglia, non
la berlina blu di Stato, trasporta l’uomo che incarna le
istituzioni, e tanto basterebbe ad accendere l’attenzione. La
politica è fatta (anche) di simboli e ai simboli si aggrappa
soprattutto quando si sente impoverita di significati e svuotata di
prestigio. Del presidente uruguagio Pepe Mujica è proverbiale e
notissimo il Maggiolino parcheggiato davanti alla porta di casa;
magari meno l’opera politica, significativa almeno quanto
l’automobile. Ma parole e gesti possono essere simbolici tanto
quanto lo “stile”. E in questo senso la scelta di Mattarella di
andare alle Fosse Ardeatine è stata potente e spiazzante, anche per
l’impressionante scarto tra quel luogo tragico e solenne e lo
scadente calibro che la politica per prima sembra concedersi,
sfibrata da una crisi che in Italia non è solo economica. Il rischio
retorico non è stato neppure considerato, è stato semplicemente
polverizzato dal gesto di Mattarella: come se la misura della
politica e delle sue istituzioni non fosse, per la persona che sale
al Quirinale, neppure in discussione.
L’equazione nazismo-terrorismo non è
nuova, Parigi l’ha appena fatta sua dopo le stragi islamiste, e
anche in quel caso l’unità della Nazione (là soprattutto con la
imponente comunità di musulmani francesi) è stata evocata, anzi
rievocata come solo antidoto efficace allo smarrimento e alla paura,
come negli anni terribili della guerra e dell’occupazione nazista.
In una brevissima dichiarazione, raccolta dai pochi presenti e non in
favore di telecamere, il nuovo presidente ha citato “l’alleanza
tra Nazioni e popolo che seppe battere l’odio nazista, razzista,
antisemita e totalitario” aggiungendo che “la stessa unità in
Europa e nel mondo saprà battere chi vuole trascinarci in una nuova
stagione di terrore”. Che le radici della nostra democrazia e della
Repubblica, e subito dopo dell’unità europea, affondino nella
sconfitta del nazifascismo non è un’opinione, sono pagine di
storia (italiana ed europea). Però sbiadite, per quasi l’intero
corso della seconda Repubblica; e spesso rilette come ragione non di
unità nazionale, ma di divisione. L’antifascismo defalcato da
sentimento fondante (e politicamente plurale) della nostra comunità
nazionale a causa di lite tra opposte fazioni, quasi una vecchia bega
che il trascorrere degli anni rende sempre più immotivata,
anacronistica, ridicola.
Il breve pellegrinaggio del dodicesimo
presidente della Repubblica alle Fosse Ardeatine, per quanto
informale, prende di petto quella impostazione, tra l’altro molto
tipica dei nuovi partiti e movimenti populisti. E sottolinea, al
contrario, la vitalità non solo simbolica ma anche politica delle
radici antifasciste e antitotalitarie dalle quali nacque la stagione
costituente: non si combatte il nuovo terrore se ci si dimentica come
si è combattuto, sconfiggendolo, quello vecchio.
Sarà interessante capire se la prima
sortita di Sergio Mattarella da presidente verrà intesa da tutti
come “unitaria”, e da quanti tra gli attori della politica
italiana, media compresi. O se qualcuno la considererà “divisiva”
per il solo fatto che rimette l’accento dell’identità politica
nazionale, e continentale, sull’antitotalitarismo e l’antirazzismo,
ovvero sulla democrazia. E’ come se i primi, timidi abbozzi di una
Terza Repubblica trovassero ispirazione più nel dna politico della
Prima che nella confusa vitalità della Seconda. Si presume che il
dodicesimo presidente, andando con mezzi propri e idee proprie alle
Fosse Ardeatine, sapesse che non è un gesto qualunque e forse, alla
luce della nostra storia politica recente, neppure un gesto neutrale.
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