Massimo Gramellini
Da qualche tempo Mario Capanna, il
giovane dell’altro ieri, va alla radio e in televisione a irridere
i giovani di oggi. Avranno una pensione misera a 70 anni? si domanda
dall’alto della sua da ex parlamentare, invece più che
soddisfacente. Ben gli sta, si risponde da solo, perché senza lotta
non si ottiene nulla nella vita e loro non lottano, ma preferiscono
vivere nella bambagia di mamma fino a quarant’anni «tanto che
bisogna chiamare i carabinieri per buttarli fuori». A parte che
preferisco vivere in un Paese che chiama i carabinieri per fare
sloggiare un figlio quarantenne anziché per difendersi da chi tira
le molotov. Ma a Capanna, come ai tanti ribelli placati della sua età
che imputano ai ragazzi del Duemila di non fare la rivoluzione,
continua a sfuggire un piccolo particolare. Che nel «loro»
Sessantotto, figlio del boom economico, i giovani erano tantissimi.
Avevano con sé l’unica forza che conta in democrazia, quella dei
numeri. E vivevano in una società dalle prospettive illimitate, dove
il futuro era una certezza indiscutibile.
La società che i sessantottini
consegnano ai nipoti è decisamente diversa. Con il calo delle
nascite e il prolungamento della vita media, i giovani sono diventati
una minoranza silenziosa che pesa poco sulle decisioni della
politica. E la frantumazione del lavoro, che la generazione di
Capanna non ha saputo evitare e in molti casi ha sfruttato, li ha
resi incapaci di pensare al plurale e coniugare i verbi al futuro.
Prima di fare la morale ai ragazzi di oggi, quelli dell’altro ieri
dovrebbero provare a mettersi nei loro panni. E magari chiedere scusa
per avere contribuito a creare questo presente.
Nessun commento:
Posta un commento