Corriere della Sera 23/02/15
Maria Teresa Meli
Matteo Renzi ha superato il suo primo
anno di governo. Ma è convinto di avere ancora tanto tempo davanti a
sé: «La maggioranza è blindata sino alla fine della legislatura».
E «nel 2018 vinciamo noi». Non lo dice con tracotanza. Ma ne è
convinto. Anche se sa che ormai il partito di Berlusconi, allo sbando
com’è, è una causa persa, su cui è difficile fare affidamento
come ai tempi del patto del Nazareno: «Forza Italia sta esplodendo e
noi andiamo avanti da soli. Se dovesse per caso rompersi qualcosa
nella maggioranza, cosa a cui non credo, sarà fisiologico che
qualcuno di loro ci sostenga».
Insomma, per farla breve, in
questo primo compleanno del suo governo il premier è contento:
«Abbiamo svolto un lavoro durissimo, ma sul Jobs act abbiamo fatto
più di quanto sperassi di fare. E quello che abbiamo realizzato sui
notai, sulle assicurazioni, sui telefonini, le banche e le poste
rappresenta una rivoluzione culturale straordinaria. Non solo, il
bello è che l’Italia sta ripartendo davvero».
Parla così,
Matteo Renzi, preso dall’entusiasmo. Ma su Raitre, Lucia
Annunziata, nella sua trasmissione In mezz’ora , gli ricorda che
qualcosa di nuovo si sta muovendo nel mondo della sinistra. E non è
detto che sia foriero di buone notizie per il premier. Già, Maurizio
Landini, in un’intervista al Fatto quotidiano , ha lasciato
intendere che potrebbe scendere in politica, per guidare quella
sinistra che è da qualche anno alla ricerca di un leader.
È
vero che ore e ore dopo il leader della Fiom, dopo una reprimenda
della Cgil, ridimensiona la portata delle sue parole, ma la sua è
una smentita a metà in cui ribadisce che occorre andare oltre la
«rappresentanza sindacale». Il premier comunque risponde
imperturbabile ad Annunziata: «Non credo che Landini abbandoni il
sindacato, è il sindacato che ha abbandonato Landini. Il progetto di
Marchionne sta partendo, la Fiat sta tornando a produrre auto e ad
assumere, è ovvio che la sconfitta sindacale lo porti ad abbracciare
la politica, non dimentichiamoci che a Pomigliano ha portato a
scioperare cinque persone su 1400».
Ma Renzi non ha paura che
una parte del Pd possa essere ora tentata dalla scissione? A sera,
dopo la trasmissione, Renzi non sembra aver cambiato idea: «Non mi
preoccupa Landini. Ha acquisito visibilità schierandosi contro
Marchionne. Oggi che Marchionne sta vincendo, lui deve scappare dal
sindacato. Normale. Io provo massimo rispetto, per Landini, ma non è
il primo sindacalista a buttarsi in politica e non sarà l’ultimo.
Gli faccio i miei più sinceri auguri». Di un’eventuale scissione,
Renzi non sembra avere paura: «Se veramente il leader della Fiom si
buttasse in politica nessuno del Pd lo seguirebbe, solo Sel andrebbe
con lui». E anche Pippo Civati, aggiunge qualche renziano duro e
puro e ormai convinto che il deputato del Pd dissidente per vocazione
e professione sia prossimo all’addio al partito.
Insomma, non
sembrano queste le preoccupazioni di Renzi. E nemmeno le polemiche
della sua minoranza sul Jobs act paiono innervosirlo più di tanto:
«Ormai il Jobs act è andato». Come a dire: ormai è fatta, quindi
pazienza per le lamentele e gli attacchi, strascichi inevitabili, se
«si vogliono fare le riforme e cambiare questo Paese», perché ci
sarà sempre «chi preferisce che tutto rimanga com’è adesso».
Morale della favola: se la minoranza interna pensava di condizionare
le mosse del presidente del Consiglio ora che il patto del Nazareno
sembra essere andato in frantumi, ha sbagliato i suoi piani. «Io non
sarò ostaggio di nessuno. So che ci saranno quelli che ci
proveranno, ma hanno sbagliato indirizzo», sorride il premier.
E
il varo dei decreti del Jobs act pare essere la conferma di queste
sue parole. «Del resto, come si fa a essere contrari a una legge che
per la prima volta si preoccupa veramente dei non garantiti, cioè
dei precari?», si chiede retoricamente il premier. Che preferisce
non entrare in polemica diretta con la presidente della Camera Laura
Boldrini che lo ha criticato e che ha stigmatizzato la figura
«dell’uomo solo al comando». Rispetto alle sue parole,
intervistato da Annunziata, l’inquilino di Palazzo Chigi si limita
a dire: «Questo è un problema suo». Ma è a lei che indirettamente
si rivolge quando spiega, sempre in quella trasmissione, che «il mio
obiettivo non è costruire una leadership carismatica». Con i
collaboratori e gli amici più fidati Renzi però si è lasciato
andare un po’ di più perché è rimasto stupito per l’attacco di
Boldrini nei suoi confronti: «Lei è la presidente della Camera e
dovrebbe fare l’arbitro, mentre mandiamo avanti il programma per
cui abbiamo preso la fiducia».
Altro argomento, altro capo di
imputazione. Anche stavolta Renzi è netto. Il tema, postogli da
Annunziata, è quello delle Popolari e delle inchieste della Consob e
della magistratura sui movimenti che ci sono stati dopo il
provvedimento del suo governo. «Mi auguro che venga fatta chiarezza
al più presto perché sono state fatte polemiche ridicole e dette
castronerie galattiche. Un galantuomo come Ciampi insieme a Draghi
tentò di fare queste norme. Noi abbiamo ripreso quel principio».
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