domenica 15 febbraio 2015

Mattarella a Palermo sul volo di linea 
(come faceva Pertini).


Corriere della Sera 15/02/15

M. Br.
Voleva tornare per qualche ora a Palermo, nella forma più riservata possibile. Dunque senza allertare più di tanto gli apparati di sicurezza. Senza dover incontrare i «grandi papaveri» locali che sempre si mobilitano quando un capo dello Stato giunge nella loro città. E, sperava, senza l’assedio di fotografi e telecamere. Per respirare l’aria di casa, ma soprattutto per andare nel cimitero di Castellammare del Golfo, in provincia di Trapani, in cui sono sepolti la moglie Marisa, il fratello Piersanti e i genitori, e dov’è andato subito dopo l’atterraggio del volo di linea AZ1799 a Punta Raisi. Sì, perché per la sua prima uscita fuori Roma il capo dello Stato ha viaggiato con una scorta ristretta al minimo (appena due uomini) su un aereo Alitalia.

«Un passeggero normale, una persona speciale. Buon viaggio, presidente», ha fatto sapere con un orgoglioso tweet la direzione della compagnia di bandiera già mentre Sergio Mattarella, poco prima delle tre del pomeriggio, si metteva in fila nel finger per imbarcarsi con altre 200 persone. Durante la rotta ha accettato di posare per un selfie con un paio di ragazzi. Ha disarmato però con un fermissimo garbo le smanie di un cronista che gli si era avvicinato per strappargli qualche parola: «La ringrazio per la sua riservatezza… grazie».

Non equivocate, non è stata una «pertinata», dicono i suoi collaboratori per spiegare che questa scelta, rimbalzata sui siti come una notizia clamorosa, non è nata da alcun intento di costruire a tavolino un profilo popolare (sottinteso: populista) alla stregua di quello che alcuni contestavano al vecchio partigiano socialista eletto al Quirinale nel 1978.

Non è un richiamo inutile. Quando doveva spostarsi per ragioni sue, infatti, Sandro Pertini s’impuntava sempre nel rifiuto degli aerei di Stato ed era difficile, per la security del Palazzo, convincerlo che il terrorismo brigatista sconsigliava categoricamente uscite non protette. Pretendeva di viaggiare da solo, ad esempio, se voleva ritagliarsi un fine settimana a Nizza, dov’era stato esule durante il fascismo e dove aveva un piccolo appartamento.

Così a volte lo si incrociava a Fiumicino, in coda alla biglietteria, per volare in classe economica nell’amata città della Costa Azzurra. Tranne una volta, il 23 dicembre 1980, giorno in cui salì nella macchina guidata da un amico e si fece 694 chilometri dall’Italia alla Francia, con l’unico seguito di un’Alfetta dei carabinieri.

Erano anche queste le cose per le quali la gente comune (e perfino un antipatizzante a 360 gradi come Indro Montanelli) amava Pertini, mentre una certa parte della classe politica lo pativa, detestandolo più o meno in silenzio e recriminando su una sua presunta demagogia. Ora, se proprio un’intenzione si vuole trovare nella privatissima fuga di Mattarella, questa è la pedagogia dei gesti che — lo sta dimostrando calibrandoli uno a uno — possono «parlare» più delle parole.

E poi, diciamolo: non ha forse diritto, il presidente della Repubblica, di ritagliarsi un weekend da normale cittadino com’era fino al 3 febbraio scorso? Lontano da cerimoniali e protocolli, per rimettere piede nella propria casa palermitana di via della Libertà (in cui ha visto crescere i figli), rivedere qualche parente, sfogliare i vecchi libri e prendersi un po’ di carte da portare a Roma? E, anzitutto, per pregare in pace sulla tomba della moglie?



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