Michele Brambilla
La Stampa 20 febbraio 2015
Un anno fa Matteo Renzi entrava a
Palazzo Chigi. Vi entrava fra qualche perplessità per il modo in cui
aveva dato lo sfratto all’inquilino precedente; ma, soprattutto, vi
entrava fra grandi aspettative. Forse mai nessuno, prima di lui, era
arrivato alla guida del governo accompagnato da una simile speranza
di rinnovamento. Renzi era il «rottamatore», quello che avrebbe
«cambiato verso» al Paese.
Oggi, a dodici mesi di distanza, è
molto diffusa, soprattutto fra i commentatori, l’opinione che il
governo Renzi abbia fatto poco o nulla. Può darsi che sia così, che
le nuove leggi siano insufficienti e le riforme impantanate.
Però, se sfogliamo i giornali di un
anno fa, ci sembra di vedere un altro mondo.
L’immagine di Bersani e Berlusconi
che vanno da Napolitano a chiedergli di restare per un altro mandato
sembra Storia illustrata. È l’immagine di un Paese talmente
logorato e paralizzato da una guerra di schieramenti da essere
incapace perfino di eleggere un nuovo Presidente della Repubblica.
Oggi semmai si parla di un eccesso di decisionismo: ma Renzi ha
cominciato due mesi fa a dire che il successore di Napolitano sarebbe
stato eletto alla quarta votazione, e così è stato.
Anche tutti gli altri protagonisti
della politica pre-governo Renzi appaiono come foto ingiallite. Chi
prima di un anno fa aveva ruoli di comando nei vari partiti – di
sinistra, di destra o di centro – è oggi in posizione defilata, se
non un reduce da intervistare ogni tanto.
Addirittura sembra un capitolo chiuso
pure Beppe Grillo. Forse chi dice che non è cambiato nulla non
ricorda bene: ma solo fino a una decina di mesi fa si discuteva se il
Movimento Cinque Stelle avrebbe o no sorpassato il Pd alle Europee;
in ogni caso, tutti erano certi di un testa a testa. È andata come
sappiamo, e oggi Grillo sembra uno stanco, o meglio «stanchino», ex
della politica. Il suo movimento si è frantumato e perfino il sito
internet (al quale era stato conferito un potere sacrale di arbitro
della democrazia) è passato dalla top ten mondiale alla posizione
numero 7.447; 154° in Italia. Renzi è l’unico leader europeo che
ha sconfitto i populismi anti-europeisti, che ovunque avanzano e
spesso vincono: in Grecia, in Francia e in Olanda. Da noi, Grillo
pare essersi arreso. Sembrava il futuro, è come se avesse compiuto
66 anni all’improvviso.
La novità portata da Renzi è
certamente, e ovviamente, anche una novità anagrafica. Con lui è
entrata nelle stanze del potere una nuova classe dirigente. Sulla
quale, naturalmente, il giudizio è sospeso. Ma se questa classe
dirigente non si rivelerà all’altezza, molto difficilmente vedremo
ritornare quella precedente. Insomma il tanto atteso ringiovanimento
c’è stato. Non è detto che sia un bene, perché non basta essere
giovani per governare bene: però era una delle istanze che venivano
da tante parti del Paese.
Renzi ha cambiato, forse in modo
definitivo, il suo partito. I vecchi dirigenti del Pd o si sono
accodati alla svolta o si sono chiusi in una scelta di minoranza che
non pare possa avere un grande futuro. Dopo la generazione degli ex
Pci, ha passato il testimone anche quella degli ex sessantottini. La
sinistra è cambiata anche perché ha abbandonato totem che parevano
dogmi religiosi, come quello dell’articolo 18 o della
concertazione. Renzi ha detto e fatto cose che, fossero state dette o
fatte da Berlusconi, avrebbero scatenato in piazza, come minimo, i
girotondi. Dei quali, invece, non abbiamo più notizie.
Ma Renzi ha cambiato anche il partito
rivale. Berlusconi non è più, per il Pd, il demonio da combattere.
L’ex sindaco di Firenze gli ha concesso un posto nobile al tavolo
delle trattative, suscitando qualche malumore a sinistra. Ma, di
fatto, così facendo Renzi sembra stia lentamente spolpando quel che
resta di Forza Italia, favorendo indirettamente l’ascesa a destra
di Matteo Salvini, una sorta di garanzia elettorale per il
centrosinistra. L’anno di Renzi ha così chiuso al tempo stesso il
ventennio berlusconiano e il ventennio antiberlusconiano, cambiando
destra e sinistra e forse cambiando perfino il bipolarismo, arrivando
a una sorta di monopolarismo.
E ancora. Ha chiuso l’illusione, a
volte pericolosamente coltivata a sinistra, di una presa del potere
per via giudiziaria; ha cambiato il linguaggio della politica, e
perfino l’estetica. Certo: i risultati più importanti che ha
ottenuto, li ha ottenuti con la furbizia del vecchio democristiano:
dalla presa di Palazzo Chigi all’elezione di Mattarella. Ma è
l’energia che è nuova. L’energia esplosiva di uomo che non si è
arreso neppure quando, dopo la sconfitta con Bersani alle primarie,
la sua ambizione sembrava morta in culla.
Ecco, queste sono le novità. Poi, può
darsi benissimo che Renzi fallisca. Ma quello che c’era prima di
lui non tornerà più.
Nessun commento:
Posta un commento