Corriere della Sera 31/03/15
Monica Guerzoni
Questa volta si va fino in fondo,
niente penultimatum. Se la legge elettorale non cambia Bersani terrà
il punto fino al voto finale e non consegnerà alle nuove generazioni
un sistema che ritiene distorsivo della democrazia. «E mi dispiace
pensare — ha confidato ai suoi — che non si voglia modificare una
virgola per puro puntiglio». La sua determinazione a impallinare
l’Italicum è pari a quella del premier di portarla a casa. Due
visioni inconciliabili, un muro conto muro che fa apparire disperata
la battaglia dei mediatori.
«Esistono dei margini» spera nel
miracolo Cuperlo e chiede «un paio di correzioni», ridurre i
nominati e contenere il premio alla lista. «Cercherò una mediazione
fino all’ultimo minuto utile» gli fa eco il capogruppo Speranza,
al quale però non sfugge la difficoltà della mission. Nei panni
stretti di presidente di un gruppo lacerato, Speranza confida nella
riunione dei deputati dopo Pasqua, pur sapendo che gli spazi di
manovra sono minimi. Anche per lui, che si definisce «il pezzo più
dialogante» della minoranza, l’Italicum è un rospo molto grande
da ingoiare. «Il tema è di sistema — ha detto a Renzi —. Ora
che Forza Italia si è sfilata, si rischia di mettere le riforme su
un binario così stretto che in aula potremmo anche non
reggere».
Speranza ha capito che il premier non si fida di
Bersani e non ha garanzie da offrire, se non la sua parola e il suo
incarico di capogruppo. Se è vero che da Palazzo Chigi gli hanno
offerto trenta posti sicuri in lista per i suoi parlamentari,
Speranza li ha rifiutati. E quando ha letto che a Palazzo Chigi si
parla di lui per un ministero, ha dovuto rassicurare l’ala dura di
Area riformista: «Il tema non sono i posti... Ho 36 anni, vi pare
che scalpito per andare al governo?». E così il capogruppo ha
provato a convincere Renzi che «conviene cambiare la legge alla
Camera, con la garanzia che al Senato la minoranza la voterà». Ma
il premier teme le «mine» di Palazzo Madama e su quel terreno non
intende avventurarsi. Per Gotor, Renzi «è finito in un cul de sac,
sta svendendo la democrazia dell’alternanza per costruire un
paludone neocentrista e trasformista da prima Repubblica». Fosse
così, come se ne esce? «O restaura il Patto del Nazareno o
ricompatta il Pd. Altrimenti rischia il corto circuito. E se le
riforme falliscono, la sconfitta è sua...». Al leader i numeri non
fanno paura. Gli oppositori del «combinato disposto» tra Italicum e
riforma del Senato sono un centinaio, ma i renziani contano di
riuscire a separare le giovani leve dalla vecchia guardia, Bersani,
Cuperlo e D’Alema. «Per come conosco i miei colleghi è una via
impraticabile» sostiene Gotor. Anche D’Attorre pensa che la
minoranza resterà compatta e che il premier col voto segreto
rischia: «Se scenderà a patti? Non credo. Non ha concesso nulla e
ha chiuso la direzione senza replica, non può tornare indietro».
Può suonare come il prologo di una scissione, se non fosse che
Bersani continua a intonare il noto adagio: «Il Pd è casa nostra,
ci resteremo con tutti e tre i piedi». Per dirla con Gotor: «Tra
obbedienza e scissione c’è un enorme spazio nel Pd».
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