Corriere della Sera 06/03/15
Angelo Panebianco
La questione delle alleanze elettorali
è oggi il solo argomento di rilievo di cui si discuta pubblicamente
nell’area moderata (Forza Italia, Ncd) del centrodestra. Forza
Italia deve allearsi con Alfano e Casini o con la Lega di Salvini? O
deve riuscire a tenerli tutti insieme? Le alleanze sono importanti ma
è patologico che soltanto di questo si parli. Svela il vuoto di idee
da cui quella parte del centrodestra è afflitto e mostra, più in
generale, uno schieramento di destra che, sul piano nazionale almeno,
potrebbe essere destinato a non toccar palla per un tempo assai lungo
(cinque anni? dieci? di più?). Perché discutere di alleanze anziché
delle cose che si intendono fare, significa non avere capito quali
novità abbia introdotto nel discorso pubblico l’ascesa di Matteo
Renzi.
Lega di Salvini a parte (che invia messaggi chiari agli
elettori sulle cose che vuole fare), se guardiamo agli stili
comunicativi dei vari esponenti del centrodestra, solo pochissimi
sembrano avere mangiato la foglia, sembrano aver compreso la
novità.
Prima di Renzi, la politica elettorale funzionava così:
si formavano l’una contro l’altra armata due coalizioni altamente
eterogenee, attraversate da dissensi programmatici radicali, tenute
insieme solo dalla volontà di battere il comune nemico. Così faceva
Berlusconi, così faceva la sinistra. Chi vinceva le elezioni,
naturalmente, non riusciva a governare.
Mettendo insieme il
diavolo e l’acqua santa, la Lega di Bossi e l’Alleanza Nazionale
di Fini, gli ex democristiani di Casini e Mastella e i liberisti
della prima Forza Italia, nel 1994 Silvio Berlusconi fece il miracolo
di fare nascere uno schieramento politico di destra. In una
Repubblica che un tale schieramento non aveva mai conosciuto la
novità fu sconvolgente. Negli anni seguenti, però, i limiti di
alleanze elettorali culturalmente e programmaticamente eterogenee
vennero tutti fuori. Si faceva una grande fatica a governare, non
parliamo poi della possibilità di mantenere le ambiziose promesse
elettorali.
Chiedersi oggi se ci sarà o no una alleanza che
comprenda i pro-euro di Alfano e gli anti-euro di Salvini, il
liberoscambismo di Forza Italia (o di certi suoi settori) e il
protezionismo economico duro e puro della Lega, i filo-americani e i
filo-russi, significa ragionare nei termini antichi, quelli che hanno
preceduto il ciclone Renzi. Alle Regionali ancora ancora, ma chi
volete che possa prendere sul serio una simile armata Brancaleone nel
caso di elezioni politiche nazionali?
Come e perché Renzi ha
cambiato le carte in tavola? Le ha cambiate dicendo cosa avrebbe
fatto o voluto fare, anche in barba ai maggiorenti del suo partito.
Ha avuto successo (è stato premiato dall’opinione pubblica) perché
ha rotto con la tradizione. Non ha detto alla sinistra, come si
faceva prima di lui: mettiamoci tutti insieme intorno a un tavolo e
troviamo un minimo comun denominatore. Ha detto invece: io voglio
fare questo e quello, chi ci sta venga con me.
Non c’è
bisogno di prendere per oro colato tutto ciò che Renzi ha detto e
dice, o ha fatto e fa, per riconoscere il cambiamento radicale di cui
è stato l’artefice. Si può anche pensare tutto il male possibile
delle sue riforme, ma gli va comunque dato atto del fatto, ad
esempio, che sta cercando di sconfiggere (eliminando il bicameralismo
paritetico) il conservatorismo costituzionale tradizionalmente
dominante a sinistra. Ancora, si possono anche fare le bucce al Jobs
act ma si deve riconoscere che lo scontro fra Renzi da un lato e la
Cgil e la sinistra del Pd dall’altro non è una pantomima, è un
conflitto vero.
In queste circostanze, continuare, come fa Forza
Italia, ad invocare alleanze fra gli opposti (come Alfano e Salvini)
significa non avere capito che le regole del gioco sono cambiate.
A
destra, solo Salvini parla di cose da fare anziché di alleanze.
Proprio questo probabilmente, lo premierà elettoralmente. Solo che
se ciò avvenisse, se a destra il baricentro si spostasse verso la
Lega, il centrodestra nel suo insieme non sarebbe più competitivo
per un lungo periodo. Se il suo più temibile avversario dei prossimi
anni risulterà Salvini, Renzi potrà dormire tra due guanciali.
Nessuno lo farà sloggiare da Palazzo Chigi per chissà quanto
tempo.
Il centrodestra tornerà competitivo solo se e quando la
parte più centrista di quell’area avrà appreso la lezione. Quando
avrà capito, cioè, che per vincere non deve smussare le differenze
fra i partiti, al fine di dare vita a alleanze elettorali incoerenti
e purchessia, deve fare invece proposte chiare agli elettori. Per
rendere di nuovo il centrodestra competitivo rispetto alla «sinistra
dopo la cura Renzi» quelle proposte, presumibilmente, dovrebbero
avere due obiettivi: il contrasto, sul piano culturale oltre che
politico, in nome del libero scambio, all’impraticabile e
irrealistico protezionismo economico propugnato dalla Lega, nonché
il definitivo abbandono di quel corporativismo spicciolo (caro sia al
Nuovo centrodestra che a settori di Forza Italia), quella vocazione a
tutelare ogni categoria professionale «amica», che ha sempre
impedito al centrodestra, quando ha governato, di aprire i mercati
chiusi e protetti alla concorrenza. Se le proposte intercetteranno
favori e umori dell’opinione pubblica, le alleanze seguiranno. È
vero il fatto, naturalmente, che, proprio come ha dimostrato la
sinistra, le nuove idee richiedono nuovi leader.
Stringere buoni
accordi elettorali, in politica, è sempre cosa utile. Ma lo è di
più capire come e perché il gioco sia cambiato e quali siano le
nuove regole.
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