GOFFREDO DE MARCHIS
La Repubblica 22 marzo 2015
Matteo Renzi Il premier nega il
“doppiopesismo” tra Lupi e i sottosegretari. “Maurizio ha fatto
una valutazione personale, giusta e saggia. Incalza? Mai positivo che
i boiardi restino troppo a lungo”
I due pesi e le due misure non
esistono. «Ma stiamo scherzando? Ho sempre detto che un avviso di
garanzia non può giustificare le dimissioni. E lo confermo».
Significa che Matteo Renzi non chiederà ai sottosegretari indagati
di lasciare il governo. E non lo farà con il candidato in Campania
De Luca, condannato in primo grado. Dopo la settimana dell’inchiesta
Grandi Opere che ha travolto Lupi, il premier e segretario del Pd
risponde alle accuse di doppiopesismo nel rapporto tra politica e
giustizia. Ma ieri mattina ha accolto a Ciampino le bare dei morti
nell’attentato di Tunisi.
«Per carità — dice — il Pd,
l’inchiesta sulle infrastrutture, gli attacchi di D’Alema: tutto
importante. Ma oggi penso soprattutto al dolore dei familiari delle
vittime. La vicenda di Tunisi è terribile ma rafforza la nostra
analisi: la comunità internazionale non può far finta di nulla su
ciò che accade in Libia, perché lì pare sia nato l’attentato al
Museo Bardo. Da qui al 17 aprile, quando incontreremo Obama, dobbiamo
intensificare gli sforzi per verificare se la soluzione diplomatica è
ancora in piedi o no».
Dopo le dimissione di Lupi, non tocca
anche ai sottosegretari indagati? Cinque sono del Pd (Barracciu, Del
Basso De Caro, De Filippo, Bubbico e Faraone) e uno del Ncd
(Castiglione)?
«Assolutamente no».
Fa la faccia feroce con gli esponenti
di altri partiti e perdona quelli del suo?
«Ho sempre detto che non ci si dimette
per un avviso di garanzia. E se parliamo di faccia, le dico con
sguardo fiero che per me un cittadino è innocente finché la
sentenza non passa in giudicato. Del resto, è scritto nella
Costituzione. Se si dice che è la più bella del mondo, poi bisogna
almeno leggerla, altrimenti non vale. Quindi perché dovrebbe
dimettersi un politico indagato? Le condanne si fanno nei tribunali,
non sui giornali: è un principio di decenza oltre che di buon senso
».
Lupi però, dopo il pressing di Palazzo
Chigi, non è più ministro.
«Il suo caso è diverso, non è
nemmeno indagato. Ha fatto una valutazione giusta e saggia secondo
me. Una scelta personale e molto degna: dare le dimissioni in
politica non è così frequente».
Non può chiedere la stessa saggezza
agli altri politici coinvolti nelle inchieste?
«Ho chiesto le dimissioni a Orsoni
quando, patteggiando, si è dichiarato colpevole. Ho commissariato
per motivi di opportunità politica il Pd di Roma nonostante il
segretario locale fosse estraneo alle indagini. A suo tempo avevo
auspicato il passo indietro della Cancellieri sempre con una
motivazione strettamente politica. Altro che due pesi e due misure:
le dimissioni si danno per una motivazione politica o morale, non per
un avviso di garanzia».
Questa “dottrina” non vale per De
Luca, condannato e candidato governatore?
«Lui ha fatto una scelta diversa,
considera giusto chiedere il voto agli elettori e si sente forte del
risultato delle primarie».
Tanto vale allora cambiare la legge
Severino.
«La modifica della Severino non è
all’ordine del giorno, non è un tema in discussione».
La sua lotta alla burocrazia si è
fermata davanti ad alcune porte. Ercole Incalza stava al ministero
anche nell’anno del suo governo. Non è compito della politica fare
piazza pulita prima dei magistrati?
«Incalza, che per me è un cittadino
innocente fino a quando non sarà condannato, ha lavorato con noi
fino alla scadenza del suo contratto. Fine 2014, punto.
Indipendentemente dalle indagini, un eccesso di permanenza al potere
negli stessi posti non è mai positivo. Ma la vera strada per
combattere la burocrazia non è tanto la rotazione dei dirigenti,
quanto la semplificazione. Rendere più trasparenti e comprensibili
le decisioni della pubblica amministrazione, semplificare il codice
degli appalti, mettere online in modo chiaro tutti i dati dei
ministeri: questo consente il controllo sociale dei cittadini».
Don Ciotti dice: con la responsabilità
civile dei giudici siete andati come razzi, con la legge
anticorruzione siamo a carissimo amico.
«Voglio troppo bene a don Luigi per
fare polemica con lui. Mi aspettavo però che ieri spendesse mezza
parola sulla declassificazione del segreto di Stato o sul fatto che
l’Autorità Nazionale Anti Corruzione fino a un anno fa non
esisteva, era solo il comma di un articolo di legge, e Cantone era un
giudice di Cassazione».
Resta il fatto che la lotta
all’illegalità sembra un punto debole del suo governo.
«In questo anno abbiamo fatto molto e
molto abbiamo proposto. Il raddoppio dei tempi della prescrizione
sulla corruzione è un messaggio chiaro: non si pensi di fare i furbi
e tirarla per le lunghe. L’autoriciclaggio e il falso in bilancio
sono due nostre proposte di legge, che prima non c’erano. Sulla
responsabilità civile dei magistrati trovo che sia un fatto di
civiltà, di cui vado orgoglioso. Poi, intendiamoci, tutte le
critiche vanno bene: non è un caso che la commissione Gratteri, che
io ho istituito qualche mese fa, stia per formalizzare alcune
proposte di cui stiamo discutendo con il ministro Orlando».
Ma la legge contro la corruzione
arranca. Non lo dice solo don Ciotti.
«Si può essere a favore o contro un
governo ma non si può essere contro la realtà: in un anno abbiamo
sbloccato partite ferme da anni a cominciare da Anac, segreto di
Stato, responsabilità civile. Su questi temi accetto consigli da
tutti, ma non prendiamoci in giro. Il problema non sono le leggi, ma
farle rispettare. Mandare in galera chi ruba sul serio e difendere
gli innocenti che sono sbranati dal circo mediatico-politico del “si
deve dimettere perché lo stanno indagando”».
Metterete un altro dirigente dell’Ncd
alle Infrastrutture?
«Le valutazioni sul ministro si fanno
al Quirinale».
Ha un identikit?
«Il ministro che verrà non è
importante in una logica interna di partiti, ma sarà decisivo per
far ripartire l’Italia. Vogliamo uno bravo, il colore della tessera
non ci interessa. Perché la crescita non sia microscopica occorrono
gli investimenti pubblici e privati. Non serve Keynes, basta la
logica. Gran parte di questi investimenti passano da lì».
L’associazione proposta ieri da
D’Alema sembra la premessa di una scissione.
«D’Alema ha utilizzato un lessico
che non mi appartiene. Espressioni che stanno bene in bocca a una
vecchia gloria del wrestling, più che a un ex primo ministro. Credo
fosse arrabbiato per Roma-Fiorentina: ha capito che il vero giglio
magico è sceso in campo all’Olimpico... Compito del Pd è cambiare
l’Italia, sia che D’Alema voglia sia che D’Alema non voglia. E
noi lo faremo».
È recuperabile il rapporto con i
dissidenti ?
«Una parte della minoranza ha questa
simpatica abitudine di trattarci come usurpatori, come se fossimo
entrati nottetempo al Nazareno scassinandolo. Prima o poi
accetteranno il fatto che se ci siamo noi, e non più loro, è perché
ci hanno scelto gli iscritti, ci hanno votato gli elettori alle
primarie e ci hanno sostenuto gli italiani con una percentuale di
consensi che non si vedeva dal 1958».
D’Alema arma la minoranza: deve
assestarle dei colpi e lasciarle i segni. Potete stare nello stesso
partito?
«Scommetto che non ci sarà alcuna
scissione. Il Pd è un luogo aperto al confronto. Nessuno può
pretendere di avere la verità in tasca. La mia proposta è quella di
discutere e confrontarsi sul modello di partito, sull’identità
della sinistra che cambia in Europa e in Italia. Cuperlo ha picchiato
duro su di me ma ho apprezzato la sua analisi. Il dibattito ha
bisogno di tutti. Non cacciamo nessuno. Da qui al congresso del 2017
abbiamo due anni per discutere di come irrobustire il Pd uscendo
dalla logica dei talk e dei tweet e gustando la fatica di
ascoltarsi».
Ha festeggiato la richiesta di
archiviazione per suo padre Tiziano?
«Sono contento per lui. So quanto ha
patito dal punto di vista umano. Ma i magistrati di Genova devono
ancora pronunciarsi e dunque non ho titolo per parlare: rispetto il
lavoro dei giudici sul serio, col mio silenzio. Penso solo che mio
padre oggi avrà i titoli sui giornali perché la sua vicenda fa
notizia».
Non le fa piacere?
«Ma tanta gente che viene indagata e
poi assolta finisce stritolata dalle circostanze esterne. Non è
colpa dei magistrati, che devono fare indagini. Non è colpa dei
giornalisti, che devono dare notizie. Ma una soluzione va trovata
perché le persone meritano di essere giudicate in tribunale e non
dall’opinione pubblica».
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