Corriere della Sera 27/03/15
Monica Guerzoni
«Se c’è il puntiglio, ognuno
si assumerà le sue responsabilità» è il pensiero che Pier Luigi
Bersani, buttando giù un caffé alla buvette, indirizza al premier
nella vana speranza che tolga il freno dall’acceleratore: «Io quel
che dovevo dire l’ho detto e non cambio idea». C’è aria di
battaglia finale, a Montecitorio. Lunedì Renzi chiederà alla
Direzione del Pd di blindare la legge elettorale, la relazione del
leader sarà messa ai voti e (visti i rapporti di forza a suo favore)
la strada verso l’approvazione dell’Italicum sarà spianata.
Il
premier ha fretta e si mostra intenzionato a portare a casa la «sua»
legge ad ogni prezzo, anche con un voto di fiducia. Alle nove di
sera, nella capigruppo della Camera, il governo la spunta e ottiene
la calendarizzazione per il 27 aprile: la data proposta dal
capogruppo del Pd, Roberto Speranza. Scatta la rivolta delle
opposizioni. Sel contesta lo «strappo inaccettabile» e Forza
Italia, per voce di Brunetta, evoca il «colpo di Stato». La
presidente Boldrini valuterà i «margini» per rispondere alle
«preoccupazioni e obiezioni» dei gruppi e il ministro Boschi,
derubricando lo scontro a «normale dialettica», vede nel calendario
di Montecitorio «ampio spazio per le iniziative parlamentari».
La
legge elettorale andrà dunque in Aula in piena campagna elettorale.
E se il testo resta com’è Bersani non lo voterà, neppure dopo il
via libera della Direzione: «Io non mi muovo, la democrazia non è
mica un giochino...». Per Bersani alcune modifiche sono necessarie e
la sua proposta è «mettere su un gruppo Camera e Senato» che
lavori a una mediazione, visto che «il Patto del Nazareno non c’è
più». Gli ricordano che Renzi ha fretta di blindare la legge e l’ex
segretario avverte: «La democrazia non sono mica noccioline». Non
temete la conta? «La conta è già avvenuta, diciamo che ci si
misura...» .
La misura dello scontro si vedrà lunedì, quando
il segretario metterà ai voti la sua relazione e la minoranza si
spaccherà. La tensione è forte, l’ala sinistra è lacerata. «Sarà
l’ennesima discussione finta — prevede Stefano Fassina, che
voterà contro — Una scontatissima prova di forza». Speranza è
salito da Renzi a Palazzo Chigi per cercare un compromesso sulla
quota di nominati, ma il leitmotiv di Renzi è sempre lo stesso: «Non
esiste mediazione possibile». Oggi il consiglio dei ministri
affronterà la riforma della Rai e la minoranza sfida il premier
anche sul futuro di Viale Mazzini, presentando una controproposta al
Senato.
La legge elettorale resta il cuore dello scontro. Renzi
pensa alla fiducia e Giuseppe Lauricella avverte che una tale scelta
sarebbe gravida di conseguenze: «Violare il regolamento della Camera
vorrebbe dire inficiare il procedimento legislativo». Ma dal
Nazareno Lorenzo Guerini conferma che Renzi tirerà dritto. Quando il
vicesegretario incrocia alla Camera il presidente del Pd, il
siparietto è questo. Matteo Orfini: «La posizione di Bersani è
inaccettabile, non si può dire “o così o non la voto”». E
Guerini: «Condivido». A sera il vicesegretario conferma che in
direzione si voterà e «quella sarà la posizione del partito».
Dopodiché, si potrà anche discutere nei gruppi.
Per Orfini la
posizione di Bersani e compagni è «irricevibile e strumentale», la
libertà di coscienza sulla legge elettorale «non sta né in cielo
né in terra». E così la minoranza si prepara allo strappo.
D’Attorre attacca: «Se Renzi dice che il Parlamento non può
cambiare una virgola si assume la responsabilità di una spaccatura
profonda nel Pd». Cuperlo spera ancora nel miracolo: «Margini ci
sono sempre...». Civati invece si è convinto che «Renzi vuole la
rottura, perché ha capito che con questa palude non si va da nessuna
parte».
C’è chi fiuta aria di voto anticipato e chi, come
Fassina, pensa che «Renzi ci vede in difficoltà e ne approfitta».
L’ex viceministro non pone problemi di tempi: «Stiamo cambiando in
modo surrettizio e squilibrato la forma di governo, un premierato
forte che fa arretrare la democrazia». Scontro frontale?
«Presenteremo degli emendamenti e io sarò coerente, come sul
Senato. Una legge con i nominati non è sostenibile».
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