Alessandro Gilioli
L'Espresso 1 marzo 2015
Immagino che ieri sera Renzi abbia
stappato lo spumante, a vedere i modi in cui si manifesta il
malcontento al suo governo in questo Paese.
Da un lato il flop di Salvini, perché
di flop si è trattato; nel senso che dopo una preparazione di
settimane e una quantità infinita di teaser televisivi, il capo del
Carroccio non è riuscito ad andare oltre la somma aritmetica dei
leghisti venuti dal nord con le camicie verdi e dei fascisti romani
che ruotano attorno a Casa Pound. In sostanza, c'erano i militanti di
un partito in visita e quelli di una nicchia in accoglienza. Punto,
fine. Due recinti che si sono mescolati tra loro, ma che non sono
usciti da se stessi. Ovviamente non è detto che andrà sempre così,
ma ieri è andata così.
Contemporaneamente, in un un'altra zona
della città, sfilava quella che dovrebbe essere l'altra area
politica anti Renzi, cioè l'opposizione di sinistra. E anche qui, le
solite cerchie: militanti storici della sinistra radicale e degli
antagonisti romani, uniti (di nuovo!) contro qualcuno (Salvini, nel
caso) anziché per qualcosa - e nessuna contaminazione al di fuori
della propria nicchia.
Ovviamente, da persona di sinistra, il
flop di Salvini mi rallegra; e la marginalità identitaria dell'altro
corteo mi rattrista. Ma questo conta poco. Quello che conta, fuori
dalle simpatie di ciascuno, è che con due manifestazioni nella
capitale in cui si insultava Renzi, alla fine, ieri, ha vinto Renzi.
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