STEFANO FOLLI
La Repubblica 11 marzo 2015
La volontà di
concentrare tutti gli sforzi sull’Italicum offre l’impressione di
una scaramuccia di retroguardia
«Ho votato sì per l’ultima volta»
dice Bersani dopo aver dato il suo consenso alla riforma del Senato.
In realtà l’ex segretario del Pd, oggi figura di riferimento della
minoranza anti-Renzi, racchiude in sé tutte le contraddizioni di un
fronte che un passo dopo l’altro sta perdendo la guerra.
Del resto, non c’è nulla che
alimenti il successo come il successo medesimo. Renzi si è costruito
la fama del vincitore, una specie di «veni, vidi, vici» moderno.
Finché la sorte lo assiste, è difficile credere che la minoranza
del suo partito riesca a rovesciare il tavolo. Certo, l’argomento
di Bersani e dei suoi amici non è irrilevante. In sostanza, si
ritiene che la legge elettorale — l’Italicum — sia inadeguata
per via dei numerosi deputati «nominati» dalle segreterie e non
realmente eletti in un confronto nei collegi. Soprattutto il
combinato disposto dell’Italicum e di un sistema monocamerale,
prodotto dalla riforma che trasforma il Senato in un’assemblea di
«secondo grado», cioè non eletta dal popolo, appare agli occhi
degli oppositori un vulnus democratico. Un tema molto vicino alla
posizione espressa dai vendoliani di Sel.
Il problema è che la minoranza non ha
la forza e nemmeno una linea coerente per tentare di vincere la
battaglia. Quando la riforma costituzionale era a Palazzo Madama in
prima lettura, gli anti-Renzi del Pd — salvo alcune eccezioni —
non seppero o non vollero impegnarsi all’unisono per bloccarla.
Lasciarono intendere che il vero scontro sarebbe stato a
Montecitorio, dove peraltro i numeri sono molto più favorevoli al
premier- segretario. In realtà, come si è visto, alla Camera
Bersani e quasi tutti i suoi hanno votato secondo la disciplina
interna, sia pure «per l’ultima volta».
A questo punto la riforma è a due
passi dalla sua definitiva approvazione ed è davvero arduo
immaginare che possa essere insabbiata, nonostante l’esiguo margine
di voti al Senato. Inoltre, come è noto, la linea del Pd è
storicamente favorevole al sistema monocamerale e ciò spiega perché
l’attenzione della minoranza si è già spostata verso la legge
elettorale. L’obiettivo minimo è modificare lo schema delle liste
bloccate, ma anche il premio alla lista anziché alla coalizione non
piace.
Questa volontà di concentrare tutti
gli sforzi sull’Italicum, in vista di ottenere modifiche
significative all’impianto della legge, è in sé legittima, ma non
si sfugge all’impressione che si tratti di una scaramuccia di
retroguardia. Qualcosa a cui forse non tutti credono negli stessi
ranghi della minoranza del Pd. Vale per la legge elettorale quello
che si è detto per la riforma costituzionale: perché non c’è
stato un maggiore impegno quando forse era possibile spuntare un
risultato? Anche l’Italicum è già passato sotto le forche caudine
del Senato ed è stato approvato. Eravamo in gennaio, prima che le
Camere si riunissero per eleggere il capo dello Stato, e Renzi giocò
abilmente sia Berlusconi sia la sua minoranza interna, ottenendo il
«sì» alla riforma.
Anche allora i bersaniani annunciarono
lotta senza quartiere, ma solo pochi di loro tennero fede ai
propositi e alla fine furono comunque sconfitti dai numeri. Gli
altri, per varie ragioni, si defilarono. Adesso l’Italicun si sta
avviando verso Montecitorio per la seconda e definitiva lettura.
Bersani chiede di non perdere l’ultima occasione di modificarne la
sostanza ed è andato anche da Mattarella per illustrargli il suo
punto di vista. Ma se è una battaglia per la rappresentanza
democratica, il «pathos» è purtroppo assente. E di nuovo il
terreno scelto — l’assemblea di Montecitorio — è il meno
propizio per ribaltare i rapporti di forza con i renziani.
Peraltro il presidente del Consiglio
già da tempo è dedito a dividere l’opposizione interna, portando
dalla sua spezzoni più o meno consistenti. E lasciando intendere,
invece, che per gli intransigenti non ci sarà futuro nelle liste
elettorali dell’Italicum. I bersaniani ortodossi, più che vincere
un braccio di ferro tardivo, non dovranno sembrare interessati solo a
salvare il seggio in Parlamento.
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