La Repubblica 24 marzo 2015
SERGIO EREDE E ALESSANDRO MUSELLA*
Caro Direttore, la lotta alla
corruzione è più che mai una priorità per l’Italia. Non soltanto
per l’emergere dell’ennesimo nuovo filone di indagini, ma
soprattutto perché la riduzione del fenomeno corruttivo è
essenziale per sostenere i segnali positivi di ripresa economica
(Roubini nell’intervista a Repubblica del 15 marzo).
Quest’ultima si consolida solamente
con un aumento significativo degli investimenti e al momento in
Europa manca una propensione agli investimenti del capitale privato
sufficiente a sostenere, da sola, la ripresa. Ci vogliono dunque
nuovi e significativi investimenti pubblici (Mariana Mazzucato su
Repubblica del 16 marzo), i quali però sono di dubbia efficacia in
presenza di elevati livelli di corruzione (Centro Studi
Confindustria, dicembre 2014).
Per consolidare la ripresa economica è
quindi necessario quello che Roubini ha efficacemente chiamato un
“attacco frontale” alla corruzione. Questa offensiva è peraltro
necessaria anche per combattere le mafie e la criminalità
organizzata (Procuratore antimafia Scarpinato).
Per questi obiettivi servono senza
dubbio le nuove norme penali che ci raccomandano da tem- po le
principali organizzazioni internazionali (Onu, Consiglio d’Europa e
Ocse) e delle quali tanto si parla e poco si è realizzato. Occorre
il coraggio di adottare, in un colpo solo, tutte le regole che —
anche a livello internazionale — sono considerate indispensabili,
con riguardo almeno ai seguenti punti: 1) estensione della durata e
interruzione/sospensione della prescrizione; 2) pene e sanzioni
economiche efficaci e dissuasive (inclusa l’estensione ai reati di
corruzione delle misure di sequestro/confisca previste dal Codice
Antimafia); 3) reintroduzione del falso in bilancio; 4)
non-punibilità per chi si auto-denuncia e collabora con la
giustizia; 5) procedibilità d’ufficio per la “corruzione tra
privati”; 6) estensione dell’ambito di ammissibilità delle
intercettazioni per i reati contro la pubblica amministrazione. Il
ddl Grasso in parte andava in queste direzioni, ma nel suo lungo e
ancora incompiuto iter parlamentare è stato progressivamente
svuotato e gravemente indebolito.
Ma ancor più urgentemente serve un
piano governativo di azioni concrete che, in tempi brevi, riduca il
“prelievo” di 60 miliardi l’anno gravante sul nostro Pil a
causa della corruzione (stime Commissione europea e Corte dei Conti).
È quasi superfluo sottolineare l’effetto positivo che tale piano
potrebbe avere sulla fiducia degli investitori esteri, inducendoli a
considerare nuovi investimenti in Italia, anche in associazione con
investimenti pubblici.
Un piano governativo anticorruzione si
può fare subito, perché non richiede un iter parlamentare, se non
in misura limitata. Il piano può essere insomma la vera cartina di
tornasole della effettiva volontà del Paese di segnare rapidamente
una svolta decisiva contro la corruzione.
Oggi in Italia esiste un “piano
anticorruzione” emanato dall’Anac (l’Autorità per la
prevenzione della corruzione nella pubblica amministrazione,
presieduta dal Dott. Cantone): si tratta di uno strumento importante,
che però è focalizzato sulla prevenzione, è limitato al settore
delle pubbliche amministrazioni (anche se — come anticipato da
Repubblica il 23 marzo — verrà esteso alle società a
partecipazione pubblica) e richiede tempi lunghi per dare risultati
tangibili.
La lotta alla corruzione impone azioni
concrete a 360 gradi, anche in tema di repressione, prevenzione verso
le imprese private, riorganizzazione amministrativa e comunicaziovamo
ne. Per tutto ciò serve quindi un piano di azioni più ampio, che
vada oltre le ristrette competenze dell’Anac e che provenga
direttamente dal Governo.
Un buon esempio pratico cui ispirarsi è
il piano anticorruzione recentemente adottato dal governo inglese,
che consta di 66 azioni specifiche, tutte ispirate alla best practice
internazionale e articolate sulle aree fondamentali di contrasto alla
corruzione. Ciò che colpisce molto positivamente di questo piano è
la sua concretezza e la ferma volontà, che esprime in modo
convincente, di combattere la corruzione attraverso l’assunzione di
un impegno incondizionato proveniente direttamente dal governo.
Nessun governo italiano ha mai fatto
nulla di paragonabile, ma un piano di questo tipo potrebbe davvero
segnare una svolta di grande impatto.
Un piano anticorruzione italiano, sulla
base dell’esempio inglese, dovrebbe agire almeno sulle seguenti
aree: 1) Scoperta e repressione: potenziamento dell’attività di
“intelligence”, mediante creazione anche in Italia di un’unità
investigativa dedicata all’anticorruzione e al sequestro/confisca
dei patrimoni di corrotti e corruttori; impiego di banche dati e dei
sistemi informatici di fraud detection ormai disponibili sul mercato
(sistemi in grado di scoprire “Red Flags” di possibili condotte
illecite su cui investigare); impiego di agenti infiltrati;
rafforzamento del whistleblowing , mediante un ufficio pubblico
dedicato a raccogliere le denunce di corruzione anche via internet
(come l’“Office of Whistleblower” degli Stati Uniti), che
garantisca ai denuncianti protezione, anonimato e una ricompensa
economica commisurata al beneficio ottenuto dallo Stato.
2) Prevenzione: ulteriori azioni per
dare concretezza ed effettività al piano di prevenzione varato
dall’Anac (in particolare favorendo l’implementazione effettiva e
rapida dei principali presidi previsti da tale piano, in tema di
nomina dei responsabili della prevenzione, trasparenza,
“Whistleblowing” e formazione); azioni specifiche di prevenzione
per singoli settori “a rischio”, come “grandi opere”, sanità,
previdenza, fisco, giustizia, ecc., prendendo a base i vari studi che
già esistono.
3) Collaborazione delle imprese:
incentivare le imprese private ad adottare programmi di compliance
anticorruzione e ad aderire a “iniziative collettive” contro la
corruzione, per esempio condizionando all’adozione di tali misure
l’accesso ad appalti, concessioni e finanziamenti pubblici; i
programmi anticorruzione sono volti a prevenire e, in ogni caso, a
scoprire tempestivamente e neutralizzare eventuali condotte
corruttive di esponenti di un’impresa. A livello internazionale
tutte le maggiori imprese adottano e attuano seriamente questi
programmi ed esistono ormai numerose guide emesse dalle maggiori
organizzazioni (Onu, Ocse, Icc, World Bank, Transparency, ecc.) che
spiegano come i programmi devono essere strutturati, attuati e anche
monitorati per verificarne la serietà; le “iniziative collettive”
consistono in un patto tra un gruppo di imprese con cui ciascuna di
esse si impegna ad astenersi da qualsiasi pratica corruttiva e
accetta di subire sanzioni in caso di violazione di questo obbligo;
la diffusione delle “iniziative collettive”, insieme con
l’adozione dei programmi di compliance anticorruzione, può ridurre
in modo drastico le dimensioni del fenomeno corruttivo, poiché
riduce la platea delle imprese inclini alla corruzione e le emargina
dal mercato.
4) Riorganizzazione amministrativa:
rafforzare il sistema dei controlli (troppo depotenziato fin dalla
riforma del 1994); ridurre i tempi dei procedimenti decisionali delle
amministrazioni; ampliare gli istituti di interlocuzione
dell’amministrazione con i privati, rendendo più trasparente ogni
rapporto; razionalizzare e ridurre i centri decisionali, in modo
particolare nei settori più a rischio di corruzione.
5) Comunicazione: campagna di
informazione e sensibilizzazione, per segnare una svolta culturale
nel Paese e per incentivare l’adesione dei cittadini e delle
imprese alle azioni previste dal piano; sradicare dalla cultura
italiana la indulgenza e auto-indulgenza verso la corruzione che sono
tra le cause della situazione attuale; stimolare il ricorso dei
cittadini al whistleblowing , facendo comprendere che la corruzione
non va tollerata, ma anzi va denunciata a tutti i livelli.
Insomma, è giunto il momento di uscire
dagli equivoci. Non è più credibile dire di voler combattere la
corruzione e limitarsi a varare nuove norme penali a macchia di
leopardo, che nascono già deboli a causa dei compromessi politici
che le precedono. Le norme che ancora servono vanno tutte adottate,
senza limitazioni e in tempi rapidi. Ma ancor più rapidamente, deve
essere varato un piano di azioni concrete contro la corruzione, un
piano su cui il Governo deve “mettere la faccia” per dare un
messaggio inequivocabile di svolta. Un tale piano può essere
decisivo non solo perché capace di produrre effetti di prevenzione e
dissuasivi in tempi molto più brevi delle norme penali, ma anche e,
soprattutto, perché in grado di produrre un impatto immediato
sull’opinione degli investitori e della comunità internazionali e
sulla loro propensione a investire nel nostro paese, così
sostenendone la ripresa economica.
* Avvocati
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