Corriere della Sera 03/03/15
Enrico Marro
Tito Boeri ci riceve nel suo ufficio al
secondo piano del palazzone Inps all’Eur. Quando si parla
dell’istituto di previdenza, di cui il 56enne economista
dell’Università Bocconi è diventato presidente, tutto è
mastodontico, non solo la sede. Non c’è un altro ente in Europa,
forse nel mondo, sottolinea lo stesso Boeri, che gestisca
praticamente tutte le pensioni dei lavoratori privati e pubblici e le
prestazioni assistenziali e parassistenziali, dalle invalidità
civili alla cassa integrazione. All’improvviso il professore, che
ieri ha tenuto un discorso ai dipendenti, si è trovato al vertice di
tutto ciò.
«Ho avuto un’ora per decidere».
Che cosa le ha
detto il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, offrendole la
presidenza dell’Inps?
«Che mi chiedeva non solo di gestire, ma
anche di riformare l’istituto. Lo ha fatto la mattina che il
governo aveva approvato il contratto a tutele crescenti per il quale,
da studioso, mi sono tanto battuto. Questo mi ha dato la misura della
credibilità del suo impegno».
Lei prima guadagnava di più.
Quanto prenderà all’Inps? Mi passi la battuta: ha accettato perché
le è stato promesso un aumento?
«No, ho accettato perché lo
considero un impegno civile. E perché ho avuto assicurazioni che
l’istituto potrà svolgere anche un ruolo propositivo, fermo
restando che le decisioni spettano a governo e Parlamento. Insomma,
non è vero come ha scritto qualcuno che mi sarei fatto zittire.
All’Inps prenderò 103 mila euro lordi l’anno, uno stipendio
elevato, ma pur sempre meno di quanto prende un dirigente di seconda
fascia all’Inps e molto meno di quanto guadagnavo prima. Ad
eccezione del Festival dell’Economia di Trento, per il quale
quest’anno sono ancora il direttore scientifico, ho sospeso tutti i
miei lavori precedenti per questo incarico che mi ha già cambiato la
vita».
Quali sono le sue priorità?
«Partirei dalla
trasparenza. L’Inps soffre di una immagine esterna non buona, che
non valorizza le sue qualità. La gente ci percepisce come coloro che
decidono, invece noi applichiamo le leggi. Le faccio un esempio: c’è
stato giustamente lo scandalo sui piloti in cassa integrazione per
sette anni. Ma non dipende dall’Inps bensì dalle norme che
regolano il funzionamento del Fondo speciale trasporto aereo che noi
renderemo pubbliche, assieme ai dati sulle prestazioni fornite da
questo fondo, perché è giusto che i cittadini sappiano che, tra
l’altro, il fondo è alimentato con un contributo di 3 euro che noi
tutti paghiamo ogni volta che prendiamo l’aereo».
L’immagine
dell’Inps soffre anche delle varie disfunzioni nei servizi
lamentate dagli utenti.
«La qualità dei servizi si può
migliorare con una forma organizzativa più efficiente. Ma lo faremo
anche facendo partire finalmente l’operazione “busta arancione”.
Una definizione in realtà superata perché la lettera col conto
contributivo e la stima della pensione la manderemo solo ai
lavoratori senza una connessione Internet. Per gli altri, ci sarà un
“pin” col quale accedere attraverso il sito Inps al proprio conto
e simulare la pensione futura, secondo diversi scenari di carriera e
di crescita dell’economia».
Potranno farlo tutti? E in che
tempi?
«Nel 2015 daremo questa possibilità a tutti i lavoratori
dipendenti privati. Per quelli pubblici ci vuole più tempo perché è
più difficile ricostruire i versamenti. Nel 2016 dovrebbe essere
possibile anche per i parasubordinati».
Quelli che finora hanno
bloccato l’operazione, perché come disse l’ex presidente Antonio
Mastrapasqua, se diciamo ai lavoratori precari quanto prenderanno di
pensione, rischiamo un sommovimento sociale.
«Sbagliato. Noi non
ci faremo fermare da condizionamenti di natura politica. È
necessario che i lavoratori siano consapevoli della loro situazione
contributiva e di quali saranno presumibilmente le loro pensioni così
da poter pianificare il futuro. Le banche dati sono un bene
pubblico».
Che significa che ci sarà una ristrutturazione
interna?
«Che, per esempio, interverremo sulle direzioni centrali,
che sono troppe, una cinquantina. Così la situazione è
difficilmente gestibile. Valorizzeremo chi merita, senza guardare
alla tessera sindacale».
Il governo ha annunciato a breve la
riforma della «governance». La sua proposta?
«Insieme con il
presidente dell’Inail, perché la riforma riguarda entrambi gli
enti, abbiamo presentato al governo uno schema che prevede la fine
del sistema duale, che in qualche modo ha contrapposto finora il
presidente al direttore generale. Proponiamo un consiglio di
amministrazione di tre membri, compreso il presidente, e un direttore
generale scelto dallo stesso cda anziché dal governo. Inoltre va
rivisto il Civ, consiglio di indirizzo e vigilanza. Che deve essere
snello, composto da membri delle organizzazioni imprenditoriali e
sindacali effettivamente rappresentative, e ricondotto a un ruolo di
controllo, evitando funzioni di cogestione».
Il bilancio 2015
dell’Inps prevede un deficit di 6,7 miliardi, dovuto ancora
all’eredità della gestione Inpdap (dipendenti pubblici).
Dobbiamo
preoccuparci?
«No. E’ chiaro che se in passato lo Stato non
pagava i contributi dei suoi dipendenti perché si trattava di una
partita di giro, questo ancora pesa sul bilancio, ma lo squilibrio
verrà gradualmente riassorbito. Il tema vero è quello delle spese
assistenziali che devono per forza di cose ricadere sulla fiscalità
generale e sulle quali va fatta una riflessione, anche per affrontare
l’aumento della povertà che, in questi anni di crisi, ha colpito
di più le fasce d’età prima del pensionamento».
Cioè anche
chi resta senza lavoro in età anziana ma è ancora lontano dalla
pensione. Non a caso c’è un ampio consenso, dal ministro Giuliano
Poletti al presidente della commissione Lavoro al Senato, Maurizio
Sacconi, passando per i sindacati, sulla necessità di reintrodurre
elementi di flessibilità sull’età pensionabile.
«Questo
problema, come dicevo, si può affrontare soprattutto dal lato degli
ammortizzatori sociali. Finora il tema degli esodati è stato
affrontato con sei decreti di salvaguardia (che prevedono una spesa
di 12 miliardi, ndr) che spesso però aiutano anche chi ha redditi
elevati mentre ci sono tante altre situazioni non protette.
Bisognerebbe insomma spendere meglio le risorse pubbliche, prevedendo
per esempio un reddito minimo per contrastare le situazioni di
povertà, finanziato dalla fiscalità generale. Poi, dal lato della
previdenza, è chiaro che, usando il calcolo contributivo, si
potrebbero introdurre forme di flessibilità».
Cioè consentire
l’uscita anticipata dal lavoro, ma con pensioni proporzionalmente
più leggere?
«Sì. Ma prima bisogna convincere la Commissione
europea, perché purtroppo i conti pubblici vengono considerati nella
loro dimensione annuale anziché sul medio-lungo periodo. Per l’Ue
se si consentono i pensionamenti anticipati risalta solo l’aumento
immediato della spesa ma non il fatto che poi si risparmierà perché
l’importo della pensione sarà più basso. Bisogna battersi in
Europa per arrivare a una valutazione intertemporale del
bilancio».
Lei da economista ha sostenuto l’opportunità e la
praticabilità di un ricalcolo con il contributivo delle pensioni in
pagamento e un contributo sugli assegni più elevati per ricavare
circa 4 miliardi che potrebbero andare alle pensioni più basse. E’
sempre di quest’idea?
«Ci lavoreremo. Faremo anche qui
un’operazione trasparenza: uno studio per categorie mettendo a
confronto l’importo delle pensioni in pagamento con quello che si
ottiene dal ricalcolo col metodo contributivo. Sulla base di questi
dati potremo formulare proposte d’intervento. Si tratta di quel
ruolo propositivo dell’Inps di cui parlavo all’inizio e che
rivendico. L’istituto, grazie alle sue competenze e al ricco
patrimonio di dati di cui dispone, può essere un consulente di
qualità del governo, un po’ come Banca d’Italia».
Quando
sarà pronto questo studio? Prima della prossima legge di
Stabilità?
«Sì, mi piacerebbe riuscirci entro l’estate».
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