Luigi Pandolfi
Giornalista e politologo
Strano paese l'Italia. Ma la Lega,
quella che sabato ha "marciato" su Roma e, a quanto sembra,
almeno dai sondaggi, mieterebbe tanti consensi oggigiorno, è la
stessa Lega Nord che per oltre un ventennio ha vagheggiato di
secessione, federalismo, devolution, nazione padana, di lotta al
centralismo romano ed alla corruzione, per poi rivelarsi il più
"italiano" dei partiti in quanto a consuetudine con i vizi
del potere? Parrebbe proprio di si, stando ai suoi attuali dirigenti,
compreso il nuovo segretario-fustigatore Salvini, al nome che porta,
ai simboli che esibisce.
Se parliamo dello stesso partito,
allora, a parte i numeri del tutto eccezionali del suo attuale
consenso elettorale, di nuovo c'è solo la sua vocazione "nazionale",
tutto il resto è un film già visto. A cominciare dall'approccio al
tema dell'immigrazione e del multiculturalismo, per finire a quello
del fisco. Ronde, Camicie verdi, provocazioni anti-islamiche, guerra
alla moschee, contatti con l'estrema destra europea, minacce di
rivolta fiscale: è storia degli ultimi quindici anni, almeno. Anni
in cui questo partito, nell'indifferenza della politica e delle
istituzioni, ha potuto permettersi campagne xenofobe, perfino
eversive dell'unità nazionale, e, al contempo, occupare, a "Roma",
postazioni ministeriali. Non solo. C'è stato un momento nella storia
del paese in cui Bossi & C. sembravano aver vinto su tutta la
linea: non c'era partito in parlamento che non si professasse
"convintamente federalista", tutti ammorbati dal verbo
leghista.
Insomma, parliamo proprio dello stesso
partito, il Carroccio, quello che faceva il suo ingresso trionfale
nella politica nazionale nel 1992 cavalcando l'inchiesta Mani Pulite
e un anno dopo avvertiva i magistrati che una pallottola costava
"solo 300 lire". Si, si, la stessa forza politica che per
oltre un ventennio ha millantato la sua "diversità"
rispetto al sistema "romano", salvo razzolare peggio di
tutti quelli, uomini pubblici e partiti, che di volta in volta
finivano nel suo mirino, ininterrottamente, dalla maxi-tangente
Enimont fino alle lauree fasulle in Albania. Storie di corruzione e
"familismo amorale" che hanno coinvolto un numero
impressionante di suoi esponenti ed amministratori ad ogni livello,
gran parte del gruppo dirigente di vertice, lo stesso leader maximo e
fondatore Umberto Bossi.
Salvini è figlio di questa storia, di
cui è stato attivo protagonista per più di due decenni; la storia
della Lega Nord, il partito più paradossale e contraddittorio che
mai la Repubblica abbia conosciuto in oltre sessant'anni. Storia di
un inganno perpetrato per anni a danno di tanti cittadini del nord,
che in questo partito avevano riposto le proprie speranze di
cambiamento, e di sistematici insulti alla dignità delle popolazioni
meridionali, vittime in alcuni frangenti anche di alcune scelte
concrete dei governi a trazione leghista. Ecco perché è davvero
imbarazzante osservare che un numero così elevato di italiani,
perfino del Mezzogiorno, che pure hanno potuto in questi anni
rendersi conto dello scarto tra parole e fatti nella storia del
Carroccio, si possano sentire rappresentati dagli stessi uomini che
ne sono stati, senza soluzione di continuità, artefici assoluti. E
che al sud possano esserci tanti cittadini in preda a sindrome di
Stoccolma. Ciò, prescindendo anche dalla pericolosità delle loro
campagne d'odio che stanno avvelenando la nostra società, sfruttando
la sofferenza, il disagio, di milioni di cittadini.
È una questione di maturità politica,
quella che sembra mancare del tutto ad una fetta larga di elettori,
che, in cambio di uno sputo (metaforico, s'intende) ad un immigrato,
sono disposti a chiudere gli occhi di fronte alla storica, e
conclamata, inaffidabilità di questo partito. La crisi non ha eroso
soltanto i nostri redditi. A pagarne il prezzo sono anche le
istituzioni democratiche, la qualità del confronto politico, la
nostra memoria collettiva. Lo slogan più noto del leghismo è stato
Roma ladrona, la Lega non perdona! Una parte del popolo italiano,
invece, sembra che alla Lega abbia perdonato tutto.
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