Corriere della Sera 13/03/15
Maria Teresa Meli
«Io non pretendo l’unanimità, ma
chiedo lealtà», questa è una delle frasi che Renzi ripete più
spesso quando legge le dichiarazioni degli esponenti della minoranza
pd che lo accusano di gestire il partito in modo autoritario.
E
con la stessa frequenza il premier ripete anche questa frase:
«Abbiamo sempre condiviso il percorso di ogni legge, Italicum
incluso, venendo incontro alle esigenze della minoranza». Forse pure
troppo. Perché Renzi ha concesso agli oppositori interni di inserire
nel disegno di legge costituzionale Boschi la clausola del controllo
preventivo della Corte costituzionale sulla riforma elettorale e non
si è evidentemente reso conto che così facendo rischiava di darsi
la zappa sui piedi. Non perché la Consulta avrebbe potuto bocciare
quel ddl. Per un altro motivo, che è stato chiaro quando ieri il
presidente della Corte Criscuolo ha giudicato «inopportuno» quel
controllo.
Già perché attaccandosi a quella frase c’è chi
potrebbe ricorrere contro il ddl costituzionale proprio perché
prevede quel vaglio preventivo giudicato non opportuno dal presidente
della Consulta. Insomma, un bel pasticcio. E ora che cosa farà il
governo? Ieri alla Camera alcuni renziani consigliavano di togliere
quella norma, altri più prudenti suggerivano di pensarci su perché
modificare nuovamente il ddl costituzionale con i numeri risicati del
Senato potrebbe diventare un problema, a meno che Forza Italia
intera, o una parte di essa, come spera Renzi, sia folgorata sulla
via del dopo-Regionali e torni sui suoi passi.
Ma è esattamente
sull’insabbiamento che conta una fetta delle minoranze interne, che
punta ad affossare tutte le riforme e ad andare alle prossime
elezioni con il Consultellum, grazie ai voti segreti previsti alla
Camera sulla riforma elettorale.
Nel mirino degli oppositori di
Renzi non c’ è la legge elettorale, e nemmeno quella
costituzionale, ma Renzi medesimo. Appurato che non riusciranno a
riprendersi in mano le chiavi della «ditta», puntano al bersaglio
grosso, tenendolo in scacco con la paralisi sulle riforme. Di più:
il Consultellum consentirebbe quella scissione che l’altro ieri
Cuperlo ha adombrato, anche se ha poi tentato di ridimensionare la
portata delle sue parole, e che Civati ormai non nega più con le
parole e Fassina nei fatti.
È vero che il Consultellum ha una
soglia molto alta al Senato: l’8 per cento. Ma alla Camera
consentirebbe a tante piccole forze politiche di fare il loro
ingresso con solo il 2 per cento dei consensi? Basta che tutte
insieme creino una coalizione che veleggi sul 10 per cento. Ed è
appunto questa la sinistra sognata da chi sta fuori il Pd e anche da
una parte di quelli che ci stanno dentro. Da chi pensa che un tipo
con il carisma di Maurizio Landini o una donna come Laura Boldrini
possa in Italia bissare il successo di «Podemos» o della «Lista
Tsipras».
Tutto ciò con l’Italicum diventerebbe invece un
sogno irrealizzabile, perché quella è una legge elettorale
maggioritaria che consegna alla lista vincitrice un gran potere
decisionale al contrario dell’iper proporzionale Consultellum.
È
questa, dunque, la vera posta in gioco in casa pd, dove la minoranza
non riesce a scalzare Renzi in nessun altro modo.
Ora però
toccherà al premier decidere il da farsi. Se puntare tutte le sue
carte sul possibile cambio di fronte di FI e togliere quel «controllo
preventivo inopportuno» o se lasciarlo lì, tentando la sorte.
Una
cosa è certa, in un modo o nell’altro, Renzi vuole portare a casa
innanzitutto l’Italicum. Anche mettendo la fiducia? «Quella vorrei
evitarla», ha confidato ai collaboratori. Ma non l’ha esclusa
categoricamente.
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