Corriere della Sera 01/03/15
Luigi Ippolito
La cosa che colpiva di Boris Nemtsov
era il tratto umano: lontano dal politico di professione, agli
antipodi dell’«uomo di apparato» di stampo russo e
(post)sovietico. Soprattutto negli ultimi anni, dopo aver dismesso
gli abiti da parlamentare, si presentava come un ragazzone irruento,
più giovane dei suoi anni, capace di stare seduto per ore attorno a
un tavolino, in jeans e T-shirt bianca, infervorandosi a spiegare le
trame nascoste della cupola politico-affaristica del regime
putiniano. Per finire segnando con noncuranza il suo numero di
cellulare privato: «Chiama quando vuoi». Un numero che d’ora in
poi resterà muto.
Nemtsov non era più nessuno, ha chiosato
ieri con cinismo il portavoce del Cremlino. Ma in realtà aveva
rappresentato un’altra Russia, una Russia possibile, liberale e
aperta all’Occidente. Dopo che si era guadagnato la fiducia di
Boris Eltsin nei mesi della caduta dell’Unione Sovietica, era stato
spedito a fare il governatore nella sua Gorkij, la ex città chiusa
luogo d’esilio di Andrej Sacharov, che sotto Nemtsov riprese il
nome originario di Nizhnij Novgorod. Lì il giovane astro nascente
della politica russa lanciò un avanzato piano di riforme economiche
e liberalizzazioni, facendo della regione un laboratorio della
transizione al postcomunismo. Persino la lady di ferro, Margaret
Thatcher, andò a fargli visita per elogiarne la baldanza.
Alle
discussioni moscovite Nemtsov preferì la gestione concreta,
sporcandosi le mani con l’amministrazione del territorio nei
caotici anni Novanta. Fino a essere toccato da accuse di corruzione.
Ma alla fine il suo zelo riformista venne premiato con la chiamata al
ruolo di viceprimo ministro della Russia. E in quel finire di secolo
sembrò che Boris Eltsin avesse scelto lui come il delfino destinato
a succedergli alla presidenza.
Le cose andarono diversamente. La
crisi finanziaria del 1998 che portò la Russia al default segnò
anche il crac delle ideologie liberali. Altre forze presero il
sopravvento e alla fine il potere venne impugnato dall’uomo del
Kgb, Vladimir Putin. Per Nemtsov e i suoi sodali cominciò un
inesorabile declino, culminato nell’esclusione dal Parlamento nelle
elezioni del 2003.
Una strada nuova sembrò aprirsi con la
rivoluzione arancione in Ucraina, nel 2004. Il presidente
filoccidentale Viktor Yushchenko chiamò Nemtsov a Kiev come
consigliere economico: ma anche questa stagione si rivelò di breve
durata.
L’ultimo decennio aveva visto Nemtsov impegnato nel
difficile tentativo di unire le forze della sfrangiata opposizione a
Putin, spesso al fianco del campione di scacchi Garry Kasparov. E
un’attenzione particolare l’aveva dedicata ai maneggi e al
malaffare che circondavano la preparazione dell'Olimpiade invernale
di Sochi. Tanto che Nemtsov era arrivato a candidarsi a sindaco di
quella città, in opposizione all’esponente putiniano, facendo leva
sulla propria campagna anticorruzione. Un tentativo generoso quanto
inutile. Gesti simili non ce ne saranno più.
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