Corriere della Sera 16/03/15
Andrea Riccardi
Assieme a 15 vite umane, il terrorismo
spietato dei talebani ha rubato ai cattolici e protestanti pachistani
pure la domenica con il terribile attentato di ieri a due chiese del
quartiere cristiano di Lahore. Nella preghiera i fedeli sono sempre
disarmati e fiduciosi in Dio: per questo l’Islam ha in genere
rispetto per la preghiera. L’attentato di ieri mostra
l’impazzimento totalitario degli islamisti: un atto vigliacco
contro un popolo inerme, anche di donne, bambini, anziani. Che male
hanno fatto le famiglie cristiane per meritarsi la morte?
Almeno
finora, nonostante i rischi, i cristiani si erano sentiti liberi
durante il culto domenicale. Una consolazione in una vita quotidiana
che li umilia per la loro fede e la loro povertà. Perché li hanno
uccisi? I due attentatori suicidi apparten-gono a Jamaat ul Ahrar,
una scheggia del movimento talebano. Nel groviglio di motivazioni
ideologiche e criminali dei terroristi, uccidere i cristiani è un
modo (vile) di mostrare la propria forza. C’è chi si suicide per
questo scopo. A tanto è arrivata la follia di alcuni musulmani. Le
autorità islamiche in Pakistan e altrove hanno il grave compito di
condurre una profonda bonifica delle menti dei correligionari.
Il
mondo musulmano è però complicato. Era un seguace dell’Islam,
infatti, anche il poliziotto che ieri ha fatto da scudo ai cristiani,
evitando una strage ancora peggiore e spingendo l’attentatore al di
fuori di una delle due chiese. I due musulmani sono esplosi insieme:
con motivazioni tanto diverse!
Papa Francesco ha gridato: «La
persecuzione finisca!». È un grido ai musulmani, perché difendano
i compatrioti cristiani e educhino i giovani al rispetto degli altri.
È un grido che chiede a tutti di non essere distratti, anche se da
fuori del Pakistan non si può fare molto.
I quattro milioni di
cristiani pachistani sono un facile bersaglio. Rappresentano, per lo
più, un gruppo marginalizzato, povero e con poca istruzione. Lo si
vede andando nel quartiere, alla periferia di Lahore, dove sono
avvenuti gli attentati di ieri, Youhanabad (la città di San
Giovanni). Qui si sono concentrati circa 100.000 tra cattolici e
protestanti alla ricerca di maggiore sicurezza.
La vita dei
cristiani in Pakistan è sempre sotto minaccia: qualcosa di terribile
può accadere loro da un momento all’altro. Come l’accusa di
blasfemia verso l’Islam. Qualche mese fa due coniugi cristiani sono
stati arsi vivi in una fornace per questo motivo. All’inizio di
marzo, una folla musulmana inferocita ha bruciato a Lahore 178 case
di «infedeli». Spesso il movente è occasionale. Non solo
terrorismo, ma un’animosità che cova sotto la cenere e
nell’ignoranza. Questo è il terreno su cui speculano agitatori,
radicali e terroristi. È invece un mondo che i leader musulmani
devono bonificare.
La sfida per i cristiani è l’istruzione,
che li faccia uscire dalla povertà e li renda capaci di lottare per
l’uguaglianza. Era la sfida raccolta da un ragazzo di dieci anni,
Abish, alunno della Scuola della Pace. Purtroppo la vita di questo
innocente è stata stroncata nell’attentato di ieri. Quella
dell’uguaglianza tra i cittadini di ogni fede era anche la
battaglia del cattolico Shahbaz Bhatti, ministro per le Minoranze,
ucciso nel 2011.
La vita dei fedeli cristiani in Pakistan è
dura, piena di ricordi tristi, dolori, ma anche attese per i loro
figli. La domenica, però, è per loro sempre un giorno di festa e
speranza. I canti melodiosi e gli abiti tradizionali delle donne
danno un tono particolare alle celebrazioni cattoliche e protestanti.
Con l’attacco di ieri, i terroristi dimostrano di voler rubare
anche la domenica. Dopo tante violenze, questa è l’ultima:
all’anima di una comunità. Andare in chiesa continuerà a essere
una scelta di coraggio e una protesta contro l’odio.
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